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Il covid ha svelato una malattia molto più profonda e pervasiva, il vero virus: il capitalismo liberista.
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Il covid ha svelato una malattia molto più profonda e pervasiva, il vero virus: il capitalismo liberista.
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Il covid ha svelato una malattia molto più profonda e pervasiva, il vero virus: il capitalismo liberista.
The coronavirus pandemic has forced us to reflect on our impact on the planet. The virus originated from the close proximity between animals and humans in the Wuhan market, which is a consequence of the exploitation of nature. Deforestation, intensive farming, and pollution have disrupted the balance of the environment, leading to the transmission of viruses from animals to humans. The pandemic has highlighted the risks and limits of our globalized world, where speed and globalization also spread risks. This virus is a warning from the Earth, and we need to take responsibility for our actions and prioritize the health of the planet. The pandemic has changed our lives and will continue to do so, affecting our perception of time, consumption, and power. It is a collective realization that health is not an individual problem but a global one, deeply intertwined with the health of the planet. Dentro la zona rossa, le origini Un intero paese è il nostro, dichiarato per quasi due mesi zona rossa, un'area a libertà vigilata. Un intero paese isolato dal mondo, presto seguito dal resto del continente. Ciascuna nazione con i suoi drammi sanitari, economici, umani, sociali. Ci siamo tutti domandati quali fossero le origini del coronavirus, inedito protagonista di quest'ultimo periodo, tecnicamente noto come SARS-CoV-2. Abbiamo assistito a un florilegio di ipotesi, comprese le più fantasiose. Il complotto degli americani, la responsabilità del laboratorio di Wuhan, in Cina, la presunta scarsa igiene personale dei cinesi e le loro esotiche consuetudini alimentari. Dal punto di vista epidemiologico, le cause ultime del Covid-19 si possono ritenere sufficientemente individuate. Il passaggio di un virus dall'animale all'uomo è l'area del mercato di Wuhan, dove è estrema la promiscuità tra animali vivi di ogni specie, rinchiusi gli uni accanto agli altri in condizioni estreme dell'uomo. Questo sempre più frequente salto di specie animale-uomo è un'evidente conseguenza di due fattori di squilibrio ambientale prodotti dallo sfruttamento della natura. La densità degli allevamenti intensivi, nei quali gli animali sono debilitati, e generalmente trattati con antibiotici e per questo più propense sviluppare virus aggressivi, e l'erosione delle aree forestali, che determina contatti sempre più frequenti tra uomo e animali selvaggi. L'origine di questo dramma epocale deve dunque essere attribuita all'invasiva presenza umana sulla Terra, o meglio, all'invasività del capitalismo agrario-industriale, perché è di questo che stiamo parlando. Se il SARS-CoV-2 ha compiuto lo spillover non è certo per malvagità. Abbiamo distrutto intere foreste per ricavarvi legname e sostituirle con monoculture, demolito intere montagne con le nostre attività estrative, avvelenato il pianeta con i pesticidi e gli erbicidi, che hanno cancellato decine di specie di insetti, elementi insostituibili della catena alimentare. Numerose specie animali, tra cui gli indiziati pipistrelli, non possono che migrare da quello che era il loro habitat naturale per entrare in contatto con il nostro, sempre più esteso, portando con sé i virus eventualmente presenti in loro. Non è pertanto difficile per questi virus trovare una nuova specie che li ospiti. Esiste una che conta ormai 8 miliardi di esemplari, ammassati in sconfinati metropoli e più che mai aggressivi, verso il pianeta che li nutre. Il pianeta ha presentato il conto. Ormai il 97% delle specie animali presenti sulla Terra è domestico o vive in funzione dell'uomo, un dato che permette di comprendere quanto la nostra impronta sul pianeta non riguardi solo l'inquinamento. Il consumo di suolo o la produzione di rifiuti. Il coronavirus ha dunque offerto una formidabile occasione all'essere umano per poter riflettere, nella traumatica condizione della pandemia, sulla propria profonda impronta sul pianeta. Un virus non è un essere vivente, ma questo virus è stato estremamente preciso nel colpire tutti gli aspetti della vita globalizzata dei viventi, evidenziando i limiti e i rischi. Possiamo pensare a quello che è accaduto come l'ultimo avvertimento della Terra, dopo i segnali degli anni precedenti? Nel 1969 l'influenza arrivò in Italia da Hong Kong in 18 mesi. Stavolta ha impiegato solo 20 giorni. La globalizzazione globalizza anche i rischi legati a un sistema dove tutto corre, la finanza, le merci, le persone, e dove la velocità è ormai fuori controllo, compresa quella con cui il virus si è diffuso. L'uomo ha perso la padronanza dei propri processi e allora la natura è costretta a salvaguardarsi. L'influenza è quella che noi tutti abbiamo procurato al nostro pianeta e questo ha necessità di curarsi, espellendo il virus letale. Il virus che dovremmo temere più di tutti è quello che abbiamo inoculato negli ultimi decenni nel corpo vivo della natura che ci circonda, provocandone la febbre. La temperatura allora deve calare se essa vuole sopravvivere. La zona rossa non è l'Italia, o meglio, non solo, è ciò che il pianeta ha creato a propria tutela, tentando finalmente di mettere l'uomo in quarantena, sperando che non sia troppo tardi. Per David Guaman, che al fenomeno del cosiddetto spillover ha dedicato un omonimo saggio uscito in edizione italiana proprio in questo periodo, il virus siamo noi. Nessuno si sente offeso. Quando avrete finito di preoccuparvi di questa pandemia, conclude David Guaman in il proprio saggio, preoccupatevi della prossima. La pandemia ha cambiato e cambierà le nostre vite, più delle vicende appena citate. Quella che seguirà non vuole essere una cronaca in senso stretto degli eventi legati alla diffusione del Covid-19, ma solo una serie di spunti cerca il modo in cui quest'ultimo ha riplasmato alcune tessere fondamentali del nostro vivere quotidiano, come il tempo, il consumo, il potere. Un celebre filosofo ed epistemologo recentemente scompasso, Bruno Latour, durante il lockdown ha suggerito di pensare al giorno dopo la quarantena nei termini di una completa riscrittura del senso dell'esistenza. Una bella sfida da non perdere. La zona rossa, il simbolo di ciò cui abbiamo dovuto rinunciare e cui forse dovremo rinunciare in futuro. Il simbolo per un interminabile periodo, non solo del nostro Paese, ma del mondo intero e di noi stessi. Un esperimento sociale su scala planetaria che tutte e tutti abbiamo vissuto con evidenti conseguenze economiche, sociali, relazionali, che ci ha obbligato a confrontarci con le nostre paure e le nostre fragilità. Una presa di coscienza collettiva del fatto che la salute non è un problema individuale, ma un bene comune e globale, il più importante di tutti, e interseca profondamente la salute del pianeta.