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redigio.it/dati2601/QGLO008-Lago-Varese-15.mp3 - Il lago di Varese - 8,57 - audio
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www.redijoe.it E la storia continua Il lago di Varese Il primo autorevole grido di allarme sulla salute del lago fu lanciato nel 1962 da uno studioso dell'Istituto di Idrobiologia di Palazza, seguito pochi anni dopo da un'eccezionale moria di pesi che, più di ogni altro discorso scientifico, dimostrò che la situazione stava precipitando. Tra i 60 e i 70, le aziende che si affacciavano sulle rive del lago scaricarono indisturbate tonnellate di rifiuti industriali, che andarono ad aggiungersi agli ancora più pericolosi scarichi civili, un milione e mezzo di metri cubi di liquami solo nel 1965. Questa enorme massa di fertilizzanti, fosfati, azoto e potassio, in breve tempo nutri il lago in una misura spropositata. Infatti nel 1977 compare sulla superficie del lago un'eccezionale fioritura di microscopiche alghe biancastre del genere Anavaena e dai botanici inclusi tra le alghe azzurre. Questi piccoli vegetali, di per sé innocui e per nulla pestiferi, si trovano normalmente in tutte le acque stagnanti del mondo, ma in quantità ridotte. Nutriti però da un'eccezionale quantità di fertilizzanti chimici, questi organismi unicellulari si riproducono da semplici escisioni in due, colonizzando così in breve tempo vastissime superfici. Sen presto ad Anavaena si aggiunsero le oscillatoria e soprattutto le microcistis, queste ultime sono molto più pozzolenti e prolifiche e da allora la fanno da padrona nelle acque del lago, specialmente nella stagione più calda. Queste alghe, che sono visibili perché si presentano sotto forma di poltiglia verdastra, sono la causa di una situazione dannosissima per il lago. Da un lato, infatti, esse impediscono alle radiazioni solari di penetrare nella profondità delle acque, riducendo così la fotosintesi e la liberazione di ossigeno, e dall'altro, quando muoiono, si depocetano sul fondo rimangiandosi tutto l'ossigeno che hanno prodotto. Nel 1964 l'ossigeno si trovava fino a 8 metri di profondità, mentre nel 1979 mancava già a 4 metri e nell'81 a 2-3 metri. Oggi la penetrazione della luce, che nei laghi non eutrofizzati è di almeno 5 metri, in certe condizioni arriva a meno di un metro, provocando così gravi danni anche al patrimonio ittico, che si trova costretto a vivere esclusivamente negli strati superficiali. Ecco perché i pesci più pregiati, come il persico e la carpa, che amano vivere in acque profonde e ben ossigenate, sono scomparsi nei laghi valese, lasciando al posto a specie meno schizzignose, tipo le arborelle, le scardole, ma certamente meno ricercate e buongustai. Queste ultime specie, anzi, rischiano di riprodursi in maniera esorbitante, con possibili fenomeni conseguenti di morire e putrefazione, sia perché è aumentato il nutrimento, sia perché sono venuti a mancare i loro naturali predatori, cioè i pesci più grossi. È curioso notare che, agli inizi del processo di eutrofizzazione del lago, i pescatori della cooperativa erano soddisfatti per l'abbondanza del pesce, anche presato, di cui le loro reti facevano incetta. Era infatti enormemente aumentato la disponibilità di fitoplancton, che fino ad allora era costituito da altre microscopiche alghe, tipo Ceratium, Asterionella, Tabellaria, Botryococcus, di cui gli specchi di pesci si nutrivano. Aggiungeremo, inoltre che il lago di Varese ha sempre offerto ai propri pesci, una ricca fauna pelagica, Zooplancton, costituita da minuscoli animaletti appartenenti ai gruppi di Cladoceri, dai Copepodi e dai Rotiferi. Ma con l'eutrofizzazione delle acque, e anche la composizione di questa fauna, si è notevolmente modificata. Un indice sicuro del cattivo stato di salute del lago è rappresentato dalla presenza della specie Cidorus spairicus, in realtà è crudemente rappresentata da alcuni dati. Il lago di Varese è un bacino embrifero di 111 chilometri quadrati e una superficie di 15, con evidente sproporzione fra le due cifre. Inoltre il ricambio d'acqua è assai lento a causa della presenza di pochissimi emissari e di solo un emissario, il Bardello, con una portata media annua di 2,87 metri cubi al secondo. La profondità media è di solo 11 metri, con un tempo teorico di ricambio calcolato in 1,8 anni. Un recente studio scientifico ha stabilito che il bacino detiene il record italiano quanto a concentrazione media di fosfero totale, 408 milligrammi al litro, con una profondità di trasparenza tra le più basse. Dopo il lago grande di Avigliana è il lago con le più alte condizioni di trofia. Per un recupero totale delle acque i licenziati discutono su un numero di anni che varia da 12 a 30. Tra Bardello e Gavirate l'entroterra è cosparso di villette e incolti, fatta eccezione per un gruppo di ontani pioppi e frassidi. Poco prima di Gavirate spoccia del lago il torrente Fignano, che agli inizi dell'Ottocento fu al centro di lunghe diatri vellegate alle vicende del fiume Bardello e dall'abbassamento del lago. Dopo l'insediamento delle prime commissioni per studiare la modalità di intervento sul lago, gli unici lavori furono fatti proprio sul Fignano, che nascendo dalle falde del Campo dei Fiori, dopo aver traversato Gavirate, si getta nel Bardello. Spesso le acque di quest'ultimo, sollevate dal Fignano, tornano nel lago provocando inondazioni, specie nella zona della Brabbia, e per questo motivo il corso del torrente gaviratese fu deviato direttamente nel lago. Nel 1809, oltre passare il torrente, si entra in Gavirate, che a lungo diede il nome al lago, anche perché effettivamente è il più importante tra i centri che si affacciano sul bacino. Autore dei sottotitoli e delle caratteristiche di QTSS