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From 1940 to 1970, the courtyard in Legnano was a place of gathering and play for children. As they grew older, boys and girls separated, but at around 16 years old, they would come back together and start dating. Within the courtyard, there were many relationships formed between young people living in the same building. The speaker's parents had to work on a piece of land for survival. In the countryside, they would play games, steal food, and spend time with the farmers. In the evening, everyone would gather in the courtyard to chat and sing songs. There was also a man named Tela who would play the accordion. The speaker's group learned a lot from a friend's father who played the violin and painted. He was their educator and they learned about art, music, and reading. They also had a radio which helped them stay informed about the world. The school was another place where they had fun together, often playing games instead of doing homework. Storie di leganesi e la vita del cortile dal 1940 al 1970. Un'altra forma di aggregazione erano le spedizioni, sempre in bande, nei boschi e nei prati intorno al legnano. Si andava assieme, ragazzi e ragazze, almeno fino agli 11-12 anni si giocava infatti sempre assieme. Poi nel periodo della pubertà si verificava una separazione tra i due tessi. Maschi e femmine avevano le loro aggregazioni e i loro giochi distinti. Soltanto verso i 16 anni si riprendevano i rapporti comunitari interrotti. Si giocava assieme e si cominciava a fidanzare. Tant'è vero che all'interno del cortile numerosi erano gli accoppiamenti tra giovani che abitavano nello stesso palazzo o nella stessa scala. In quel periodo i miei genitori, per necessità di sopravvivenza, hanno dovuto lavorare un pezzo di terra prima a Ponsella e poi a Mazzafame. Mio padre, che veniva dall'oltrepolpo avese, aveva infatti una certa esperienza. Alla cascina a Mazzafame ho conosciuto i giovani che avrebbero formato poi nel 1944 un nucleo partigiano combattente. Tra gli abitanti di quel cortile sarebbero stati partigiani tra i più attivi e alcuni di loro sono anche morti nei campi di concentramento di Germania. Lì ho anche avuto il primo impatto con il mondo contadino. Il cortile rurale era molto diverso dal cortile operaio in cui abitavo io. In campagna andavamo spesso a giocare durante le vacanze estive. Partivamo alla mattina alle otto, ritornavamo a mangiare a mezzogiorno e poi ripartivamo di nuovo a luna per tornare alla sera. Nei prati giocavamo agli indiani o agli scerifi e facevamo delle corse. A volte venivamo inseguiti dai contadini perché, un po' per fame, un po' perché non c'era allora tra i ragazzi il senso della proprietà, se stato poi incloccato dal sistema rubavamo le pannocchie o la frutta. Anche la sera, dopo cena, si usciva a giocare in cortile. Le donne portavano fuori gli sgabelli o le siglie e si univano a chiacchierare a gruppi o anche a decine tutt'assieme. Perché tutti, ma in particolare per le donne, la vita si svolgeva, soprattutto l'estate, molto meno in casa che in cortile. Erano dodici o tredici ore vissute assieme ogni giorno anche dei bambini, veri e propri nomadi, che ruotavano attorno al cortile. Molte cose apprendevamo dai discorsi delle donne quando si riunivano in cortile. Dopo aver giocato un po' ci siedevamo vicino alle gogne delle nostre madri e ascoltavamo i loro discorsi che, anche se fatti da persone che raramente avevano raggiunto la quinta elementare, suscitavano la nostra curiosità e hanno lasciato in noi un'impronta. Stavolta apprendevamo piccole cose sul sesso, soprattutto delle donne che lavoravano in testitura e in filatura. Queste avevano un linguaggio più fiorito delle donne che, come le madri, non andavano in fabbrica. Ma non è che cambiassero discorso quando c'erano i bambini. Magari ci davano uno scappacione se qualcuno di noi capiva qualcosa di più di quanto loro pensassero. Però la loro discussione andava avanti parlando di lavoro, di sesso, delle vicende familiari, delle cose che succedevano negli altri cortili nella città. Parlavano anche di politica. Spesso si cominciava a cantare e allora si formavano dei cori enormi. Tutto il cortile si metteva a cantare quel mazzolin dei fiori, Ramona, lo spazzacamino o altre canzoni. Spontaneamente nasceva una sorta di festa popolare alla quale partecipavano tutti, dai bambini agli anziani. Le canzoni allora duravano a lungo, continuavano a piacere e si cantavano per dieci anni di seguito. Talvolta al pomeriggio nel cortile veniva il Tela a suonare la fidarmonica, che noi chiamavamo l'Urgalin dul Tela. Questo era un uomo senza gambe che faceva parte del gruppo dei Cinque Deputati. Come allora venivano chiamati a Legnano cinque personaggi un po' strani che avevano sopranome. Che avevano come sopranome? Jo, Le, Tela, Biasin e Giacumela. Quella del Tela era l'unica musica di allora, perché le prime orchestrine di cortile si sono formate soltanto verso la fine degli anni Trenta e soprattutto dopo la guerra. Allora c'era l'abitudine di andare all'opera. Si andava a Milano oppure c'era il carro di Trespi che girava per le piazze. Qualche volta anche il Teatro Legnano presentava un'opera. Ricordo di aver ascoltato la Traviata, il Rigoletto, la Bohème. A Legnano c'era un coro molto conosciuto diretto dall'Arturo Fusetti che ha cessato l'attività durante la guerra. L'inverno stavamo invece nelle case. Si faceva turno per andare dalla casa dell'uno o dell'altro dividendoci per bande di caseggiato. La bande in cui mi trovavo io in quel periodo ha perfino tentato un avvicinamento all'arte grazie al padre di un nostro amico, Mario Sola, impiegato nella Francotosi, che suonava il violino e dipingeva. Il Sola è stato un educatore per noi. Amava i bambini e la sua casa era sempre aperta. Così il nostro gruppo ha imparato a dipingere, ad ascoltare la musica, a leggere i giornali. Il Sola era l'unico allora che possedesse una radio. Era una radio a cuffia e la si ascoltava uno per volta. La radio è stato il nostro strumento per conoscere meglio la realtà, per essere informati. Il Sola ci ha sempre dato una base per apprendere le cose in un periodo di oscurantismo culturale. È stata la persona che più ha influenzato positivamente la prima parte della mia vita. L'altro grosso centro di apprendimento era la scuola, anche se noi abbiamo imparato più dal Mario Sola che dai nostri maestri. Nel cortile ci si distreva, infatti, a vicenda. Non facevamo mai compiti perché, appena tornati da scuola, ci si metteva a giocare finché c'era luce. Poi si cenava e alle otto eravamo già a letto. A scuola si andava in gruppo di 20 o 30. Ci si aspettava giù nel cortile e gli ultimi li chiamavamo gridando, perché c'era sempre qualche ritardatario. Qualcuno ha conservato queste abitudini anche sul lavoro. Quando lavoravo alla Franco Tosi io tembravo sempre dieci minuti prima, ma c'era un mio amico che stava nel mio cortile, che arrivava sempre tardi. Era un bravo impiegato, ma non riusciva mai ad arrivare in orario. Allora tembravo il suo cartellino. Se ne ricava eravamo tutti in ritardo a scuola perché ci fermavamo per strada a giocare con le palle di neve. C'era soltanto un altro compagno che andava a scuola accompagnato dalla madre e che voleva sempre restarsi nella casa. Era rosso di capelli e noi lo prendevamo in giro dicendo che il più bravo dei rossi ha buttato il suo padre nel polso. Era uno spettacolo per noi perché tutte le mattine per tutta la durata dell'anno scolastico veniva trascinato a scuola da sua madre mentre lui urlava e piangeva. I genitori non avevano alcuna influenza sulla nostra educazione scolastica, soprattutto perché molti di loro erano analfabeti e avevano studiato soltanto fino alla seconda o alla terza elementare. Noi studiavamo invece fino alla quinta per poter entrare a fare i tornitori alla Tosi. Era questo infatti il mestiere che più ci attirava, quasi tutti, almeno per un periodo. Siamo poi andati a lavorare a Franco Tosi. Nel mio quartiere abitavano i quattro fratelli Venegoni, degli antifascisti militanti. Una volta hanno affrontato i fascisti e sono poi venuti armati in casa mia. Nella mia casa c'erano spesso riunioni clandestine di antifascisti ai quali mi sono unito anch'io nel 1939 quando avevo 16 anni per cominciare clandestinamente la lotta politica. Ogni tanto venivano i fascisti a prendere uno dei quattro fratelli Venegoni. La loro madre, che aveva un coraggio tremendo, si opponeva ai fascisti fisicamente, si gettava contro di loro, ma non poteva fare niente. Il più giovane dei quattro fratelli, il Mauro, è stato picchiato molte volte, ma non si pegava mai, aveva un grandissimo orgoglio. Alla fine l'hanno ucciso dopo averlo barbaramente torturato durante la guerra. Mio fratello libertario, quando aveva 22 anni e io ne avevo 12, è entrato nel movimento antifascista. Una sera è venuto a casa e in una riunione familiare ha spiegato a tutti la sua scelta. Anche l'altro fratello, il comunarto, ha fatto il partigiano sulla linea gotica in Toscana. In casa mia, anche se mio padre e mia madre erano anarchici, veniva ogni tanto Don Francesco, che era al Parco dei Santi Martiri, ed era un sincero antifascista. Così, tra la mia famiglia e lui, si era creata una vera amicizia, fondata sul reciproco rispetto di persone che credono nella democrazia. E questi legami sono rimasti a lungo.

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