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During the years from 1940 to 1970, various groups were formed and dissolved due to deaths, resulting in a lack of political knowledge. This lack of awareness affected their ability to contribute to the reconstruction after the war. Discrimination against former partisans continued even during Parri's government. The speaker recounts personal experiences of being attacked by fascists and suffering physical injuries. Despite the challenges, the speaker emphasizes the importance of camaraderie and solidarity within the resistance movement, particularly within the courtyards where they lived. These courtyards served as meeting places, safe havens, and centers for organizing and supporting the resistance efforts. The speaker highlights instances of collaboration, such as rescuing captured partisans and organizing impressive funerals for fallen comrades. These experiences demonstrate the strength and power of the solidarity that was fostered in the courtyards. Storie di Legnamesi e la vita del cortile dal 1940 al 1970. I gruppi si sono formati e disfatti, ricreati e ancora sciolti, perché molti morivano. I compagni cambiavano spesso e non abbiamo avuto modo di accrescere le conoscenze politiche. Così che siamo arrivati al 25 aprile impreparati e non riuscivamo a capire certi fenomeni. Se noi come movimento avessimo raggiunto un grado di coscienza dei partigiani jugoslavi avremmo potuto dare un contributo diverso alla ricostruzione. Non avremmo permesso, ad esempio, che il colore azzurro della casa di Savoia venisse mantenuto nelle maglie dei giocatori di calcio o della squadra nazionale. Ne avremmo permesso che fosse mantenuta, come volevano i liberali, la struttura burocratica dello Stato fascista. Soltanto gli altri dirigenti avevano capito queste cose, ma noi no. Non avevamo un pensiero egemonico. Anche durante il governo di Parri, che era un padre spirituale dell'esistenza, ci sono state discriminazioni nei confronti dei compagni che avevano combattuto e che venivano trattate in maniera diversa da quelli che, addirittura, erano stati fascisti. Noi abbiamo fatto molti errori, tra cui quello di non aver capito bene il senso delle persecuzioni fatte nel triangolo rosso nei confronti dei partigiani. Siccome ero comandante partigiano, mi sono arrivate decine di denunce per tutto quello che era stato compiuto nella zona, soprattutto per furti e rapine. Nel 1949, mentre mi trovavo a casa malato, sono venuti i carabinieri a prendermi. Per fortuna c'erano con me l'onorevole Venegoni e un deputato democristiano, l'onorevole Zerbi, che ha telefonato al comando dei carabinieri e mi hanno lasciato in pace. Tra il 1947 e il 1948 ero stato via per 7-8 mesi a causa delle malattie che mi erano procurate dai pestaggi dei fascisti. Ho avuto oltre 30 fratture le ossa in tutto il corpo. Durante la guerra partigiana non avevamo avuto né il tempo né i modi di prepararci politicamente, e chi aveva questa preparazione l'ha usata contro chi aveva fatto la lotta di liberazione. Io avevo pagato molto fisicamente durante il fascismo. Nel 1941, una sera, mentre verso le 10.30 passavo in Corsa Italia con gli amici, sono stato aggredito dai fascisti perché non ero a conoscenza della mia attività clandestina, ma solo perché portavo un cognome sgradito, dato che mio padre era anarchico. Quel giorno doveva esserci stata una vittoria dell'esercito in Africa, quindi i fascisti erano euforici e sono stati picchiati in maniera violentissima. Questo è stato un episodio che ha cambiato completamente la mia vita, non dal punto di vista politico, ma dal punto di vista fisico. Ho avuto da loro due pleuriti binaterali che hanno poi portato a una forma tubercolare che, anche durante la resistenza, mi ha creato parecchie difficoltà. Feci molti mesi malattia e sono stato curato da un medico ebreo, il dottor Müller, con il quale sono sempre stato amico e che per anni ha vissuto nella clandestinità, nascosto da quelli che aveva curato. Da quel periodo la mia convinzione antifascista è aumentata. Dopo l'aggressione, invece di essere stato isolato dai giovani, alcuni di essi, sapendo che ero stato picchiato, si sono invece avvicinati e il nostro gruppo si è rafforzato. Sono venuti tra di noi anche dei giovani studenti o intellettuali che avevano istruzione superiore alla nostra e avevano potuto leggere dei libri di cui noi non conoscevamo neanche l'esistenza. Eravamo un gruppo omogeneo. Ricordo alcuni episodi della lotta clandestina. Nell'ottobre del 1944, dormivamo nei prati della Mazzafame e siccome cominciava a fare molto freddo abbiamo cercato un luogo un po' più riparato. Vicino alla casina c'era la casa colonica del Rossato, al cui interno si trovava un raccoglitore d'acqua, ampio, una quindicina di metri quadrati. In una decina ci siamo trasferiti lì per dormire la notte. Io, dopo che avevo preso le botte dei fascisti, soffrivo di insonnia perché, oltre alle pleuriti, mi è venuta la nevrite e avrevo dei dolori traumatici. Quando siamo andati lì a dormire, il padre del Rossato, per nasconderci, ha chiuso la cisterna con un sigillo di cemento e soppramesso delle fascine. I miei compagni si erano addormentati, ma io non riuscivo a dormire e mi sono accorto che a poco a poco veniva a mancare l'aria perché avevamo consumato tutto l'ossigeno. Allora mi sono alzato in piedi, ma ero così intontito dalla mancanza d'aria che non avevo la forza di alzare il sigillo di cemento. Allora ho svegliato i due compagni e assieme siamo riusciti ad aprire la cisterna. Se non fosse stata una notte di insonnia saremmo morti tutti asfissiati. Questo è l'unico lato positivo dell'insonnia che abbia conosciuto. Cinque o sei mesi dopo abbiamo dovuto fare una trentina di chilometri a piedi per cambiare la postazione. Durante la notte eravamo molto stanchi e il compagno che faceva la sentinella per non addormentarsi si era messo il fucile sotto il mento, in maniera che quando reclinasse il capo addormentandosi si svegliasse prendendo un colpo. Io non riuscivo a dormire e allora per passare la notte mi sono alzato per scambiare due chiacchiere con la sentinella. Questa si era addormentata, ma il fucile era scivolato dietro al mento e gli stavo entrando nella narice, ho appena fatto in tempo a svegliarlo. Dopo un breve periodo di preparazione abbiamo cercato di strutturare la nostra azione creando luccheri nelle parti della città in cui la popolazione era più densa, cioè nei cortili più ampi. Così ad esempio nel cortile del cotonefficio Cantone tutti i giovani hanno aderito alla resistenza, come pure alla cascina Mazzafame, e hanno costituito due squadre armate di punta, quelle cioè che facevano le azioni più pericolose, all'interno del 101° e 182° Brigata Garibaldi. I cortili di via Rossini, cioè il dormitorio e quello della Tosi, sono invece stati adibiti a retrovia. Costituivano infatti una zona tranquilla in cui potevano rifugiarsi partigiani stanchi, feriti, senza risorse, oppure che avevano bisogno di stare nascosti per un certo periodo. Il 5 gennaio del 1944, quando i nazi fascisti avevano deportato in Germania decine e decine di lavoratori della Franco-Tosi, dall'industria elettrica e della Ercole Comerio, noi siamo stati chiamati la mattina per compiere azioni di disturbo. I cortili sono serviti da caserma per il movimento partigiano. La raccolta di cibo, di vestiti, di denaro che ci serviva quando dovevamo compiere azioni di tre o quattro giorni, venivano effettuate nei cortili, oltre che nelle fabbriche, come pure la stampa dei volantini di propaganda. E si creava una grande amicizia e solidarietà. Quando c'è stato il rastrellamento della cascina Mazzafame, io mi trovavo là, perché ormai vivevo con i giovani nel nucleo partigiano che là si era formato. E con me c'era un altro giovane che si era stabilito lì da tempo, che poi è stato ferito gravemente al polmone. In questo rastrellamento dodici partigiani sono stati portati via, due sono stati feriti e io sono riuscito a fuggire in maniera un po' rocambolesca e sono l'unico che si è salvato. I due feriti sono stati ricoverati all'ospedale di Bustarsici. Non appena Samuele, che aveva come nome di battaglia Sandro, è stato un po' meglio, il nucleo partigiano lo ha liberato, dopo aver colto di sorpresa disarmato la sentinella, e lo ha nascosto in un cortile popolare di Cerro Maggiore. Quando poi è guarito del tutto, Sandro è andato a liberare l'altro partigiano ferito. C'era infatti una forte solidarietà. Quando qualcuno di noi era nei guai, gli altri partigiani facevano di tutto per aiutarlo. In questo periodo venne liberato anche Ezio Gasparini, un antifascista che si era stato rinchiuso nel carcere di Legnano. Due partigiani, travestiti da carabinieri e muniti di un documento falsificato, sono riusciti a portarlo via. Questi nuclei partigiani si erano formati nei cortili. La vita collettiva che si faceva nei cortili è stata fondamentale per dare solidarietà, per cementare le squadre partigiane. Soltanto questa amicizia e questo altruismo potevano infatti permettere che si facessero certe cose. Allora avevamo rapporti anche con un nucleo di cortile di Bustercizio, perché una delle due brigate lignanese operava nella valle Olonia a Fagnano, Tradate e Gorla. Quando sono stati uccisi due partigiani Vignati e Ravaglia sotto il ponte di San Bernardino, mentre altri due sono rimasti feriti e io, miracolosamente, rimasto illeso, è stata la gente del cortile, assieme al paroco Don Francesco, a fare un funerale imponente. Hanno portato le barre dei due caduti a spalla e a migliaia li hanno seguiti per le strade. È stato un esempio della forza che può avere la solidarietà che si era creata nei cortili. È stata una grande manifestazione antifascista, fatta contro la volontà del comando provinciale della milizia, ma ancora più che un significato politico ha avuto un significato umano. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org

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