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The speaker discusses his life in a courtyard in Reganesi from 1940 to 1970. He talks about his strict Catholic upbringing and the activities he and his friends would do in the courtyard. He also mentions his experiences working in a textile factory and the influence of propaganda during the war. He expresses his sympathy for the monarchy and the cultural limitations of his community. The speaker also discusses the social divisions and rivalries between different neighborhoods. He talks about playing in a quarry and the strict religious obligations imposed by the church. The church had a dominant presence in the community, and the priest was aware of everything happening in people's lives. Storie di Reganesi e la vita del cortile dal 1940 al 1970. Qui stiamo parlando di Giacomo Landoni, attivista politico. Sono nato a Legnanello, in via Alessandro Volta. I miei genitori hanno una trattoria e l'hanno tenuta fino al 1937. I miei genitori erano cattolici bigotti, mi obbligavano ad andare all'oratorio e se non andavo a messa non mi davano la mancia. Se facevo la comunione, dovevo portare a casa la madonnina che mi davano. Fino a 15 o a 16 anni la mia vita è stata così. E poi, di fronte a me, c'era un grosso cortile di mia nonna. Quando ero ragazzo mi trovavo lì con gli altri ragazzi. La mia educazione è stata cattolica, mi è stata imposta, ma l'ho accettata e l'ho assorbita. Fino ai 14 anni, se sentivo una bestemmia quando giocavo nelle bocce, andavo via. Mi faceva male perché non sopportavo certe cose. Alla sera mi trovavo con i miei amici e giocavamo a mago libero o a nascondiglio. Al mattino presto giocavamo al chiodo oppure ai soldatini oppure con le biglie nelle buche della chiesa. E chi vinceva guadagnava 10 o 20 soldatini oppure con le carte. Poi mio papà ha venduto la trattoria ed è subentrato il circolo. Io intanto, che avevo fatto la terza Bernocchi, sono andato a San Vittore ai Dazi. Mio fratello era ispettore nei Dazi ed ero andato lì. Poi invece sono andato a Nerviano a lavorare in tessitura Bernocchi. L'esperienza con gli operai è stata brutta perché allora non c'era colloquio. Se si parlava era per sgridare le donne sui telai. Allora il sindacato era fascista. Io a certe questioni non le conoscevo. Io come aiuto assistente ero privilegiato. E la donna la si guardava come un manovale qualsiasi e così la si doveva trattare senza dare una risposta, bruscamente. Andavo in tram o in bicicletta. Poi alla sera lo sfogo era di trovarsi al circolo con il menigo che suonava la chitarra. Ci trovavamo in 30 o in 40 e poi si andava a fare la serenata a qualche ragazza che si trovava. Culturalmente non c'era niente. Si parlava di canzonette. Sentivo operai di 30-35 anni prima della guerra della Bissigna che dicevano almeno che venga una guerra perché la guerra ci porta lavoro. Ma che concezione che avevano. L'uccisione di milioni e di milioni di persone per avere diritto a un posto di lavoro e per portare a casa qualcosa. Questo veniva anche influenzato dalla propaganda ma anche dal cotonificio Cantoni. Con la preparazione della guerra il Cantoni ha assunto un mucchio di gente e di donne con la carretta a mano. Portavano a casa centinaia di camicie e di pantaloni per metterci bottoni o per fare le asole. Non pensavano a tutte le conseguenze di una guerra che non veniva perché non c'è lavoro ma per la divisione internazionale dei mercati. E io ero un cattolico e avevo una forte simpatia per la monarchia. Perché in casa mia Guai Achito Cavarè nel 1946 con le elezioni monarchia-repubblica la mia famiglia ha votato in blocco per la monarchia. Quando ero a militare ed eravamo prigionieri in Grecia il 90% dei giovani pensava che far la guerra per il Re e per Badoglio andava bene farla con i tedeschi no. C'era ancora anche nel giovane un senso della monarchia anche per la propaganda. La domenica, se era estate, prendevamo la bicicletta e andavamo al piscino. Nel cortile della mia nonna in via Bramante abitavano 20-25 famiglie dove ogni famiglia aveva uno o al massimo due locali ed era pieno di giovani perché ogni famiglia aveva 5-6 figli. In casa mia eravamo in 12 fratelli. Ci si trovava lì nel cortile e si parlava. C'era una famiglia che aveva la radio e ogni tanto ci mettevamo ad ascoltarla. I giornali non li leggevamo. Per la mia famiglia arrivava l'ora perché era obbligatorio l'abbonamento del popolo d'Italia che era fascista. Di libri si leggevano solo la Liala. Noi abbiamo letto a 13 anni i Miserabili e i Misteri di Parigi. Quei libri lì non erano censurati allora, si trovavano. Però libri come il Verga, Zola non si trovavano. Come soldi eravamo molto scarsi. Ci davano 5, 4 o 5 lire ogni domenica e 5 lire bastavano per comprare un pacchetto di sigarette che doveva poi servire per tutta la settimana. Al cinema non c'era molto da vedere. Dal 1928 fino al 1934 erano tutti film western che poi sono usciti tutti film fascisti come Scipione l'Africano, quello di Amedeo Nozari che faceva il pilota. Poi Maciste che era fatto da Elminio Spalla e lo faceva sempre come il fusto fascista contro i sovversivi. Dal cortile di mia nonna a 13-14 anni avevamo i primi contatti con le ragazze. Giocavamo al dottore o al nascondiglio. La coppia, magari, si nascondeva in cascina, in mezzo al fiero e si cominciava ad avere i primi contatti con una ragazza. Mentre a scuola eravamo separati. A volte giocavamo alla corsa col cerchio e un bastoncino di legno o di ferro. Nella via Bremante fino al Paradiso, poi sulla Saronnese verso Rascaldina e poi si tornava giù dalla via Barbara Messi. Noi lo chiamavamo il giro degli otto chilometri e chi arriva primo prendeva magari dei soldatini. Allora c'era molto campanillismo, anzi, razzismo perché da ragazzi noi di Legnanello odiavamo quelli del centro, di via Garibaldi, di via Vittoria e questi non potevano venire a Legnanello. Ci mettevamo sul ponte dell'Ona, in via Pontida e con un mucchio di sassi e gli altri cercavano di entrare nel nostro territorio. Facevamo di quelle battaglie oppure quando a 18-19 anni andavamo a balare a Rascaldina o a San Giorgio botte da orbi, non ci facevano entrare perché, dicevano le ragazze sono nostre, sono di Rascaldina e voi non potete venire. Allora c'era tra rione e rione il razzismo e poi un altro svago che avevamo era la cava vicino al cotonificio Cantoni dove ne vavano la ghiaia. Noi le chiamavamo un cao da gera del bandera cioè il cavo della ghiaia, quello del bandera. C'erano le rotaie con i vagoncini per trasportare la sabbia. Là ci trovavamo in decine e decine alla sera per fare la corsa sui vagoncini 5 o 6 per vagoncino e a chi arrivava prima. Alla domenica alle 2 dovevo andare all'oratorio, era obbligatorio e non era un modo di vita associativo, era repressivo. Si andava all'oratorio e chiudevano le porte, tu eri dentro il cortile. Alle 3 e mezzo c'era il vespero, ci portavano nella chiesetta interna e restavamo un'ora, un'ora e mezzo. E c'erano gli uomini cattolici che avevano un loro circolo vicino alla chiesa che davano di quelle punizioni. Avevano delle verghe che facevano venire dei segni sulle gambe ma se lo dicevo a mio papà o a mia mamma ne prendevo delle altre perché pensavano che avevo fatto qualcosa di sbagliato. Alle 3, quando c'era il vespero alla domenica, il parroco girava nei circoli e nelle trattorie. Tutti dovevano chiudere perché c'era il vespero e tutta la gente doveva andarci. Aveva un dominio la chiesa. Anche chi non voleva andare doveva andarci perché si sentiva isolato perché tutti sapevano che a quell'ora dovevano andare al vespero. La chiesa era veramente predominante e poi il prete era corrente di tutto quello che succedeva nelle famiglie.

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