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Transcription

The transcription discusses the correspondence between the curate Giovanni Battista Crespi and Cardinal Carlo Borromeo. It mentions the history of the church in Parabiago and the various priests who served there. It also highlights a controversy involving the use of church ruins to build a stable. The curate was fined and investigated by the cardinal. The transcription also mentions the curate's denunciations of abuses and misconduct by other priests and religious communities in Legnano. It emphasizes the importance of respectful communication and the challenges faced by clergy in maintaining order and unity. www.redigio.it e la storia continua L'epistolario del curato legnonese Giovanni Battista Crespi al cardinale Carlo Borromeo Le denunce del Prevosto Crespi e i rapporti con i monasteri Considerato il prossimo quattrocento anniversario di ricostruzione della chiesa prepositurale parabiaghese titolata Ai Sancer Vase Protaso, ho cercato di rimpolpare l'elenco esistente dei Prevosti che si alternarono alla cura delle anime. Nel corso della ricerca sono emerse notizie curiose, anche di carattere biografico, relative alle figure di sacerdoti o regnorati ora non adeguatamente tratteggiati. Tra loro, ad esempio, Simone Bartolomeo Blancathanus, che non esiterei a interpretare come Bianconi, salvo errori, dovrebbe essere stato prevosto dal 1562-63 al 1571 circa. A lui è debitata la responsabilità di avere utilizzato le macerie dell'oratorio di San Martino, esistente sui poderi di Cesare Crivelli, per costruire una stalla in prossimità della Canonica. Si tratta di un espediente deprecabile, a quale sembra non si sia sottratto neppure un famoso architetto milanese, nella seconda metà del Settecento, per la costruzione di una vila in via Borgonovo, semidistrutta dai bombardamenti del 1943, e tale da suscitare critiche a posteriori con i suoi resti. Evidentemente il prevosto desiderava alloggiare nella stalla un cavallo da utilizzare per le sue peregrinazioni fra le varie cacine. La notizia però suscitò molto scalpore, anche perché all'oratorio, situato nella prossimità della costa per Canegrate, era uso andare con la croce per la recita delle litanie. Il fatto costrinse il prevosto al pagamento di una multa di 25 scudi e soprattutto richiamò l'attenzione del Cardinal Carlo Bromeo. Questi, nel 1571, allertò il Servizio di Informazione e affidò a Giovanni Battista Crespi, curato di Regnano, l'incarico di indagare sull'accaduto. L'ispettore delegato rispose con lettera datata 1° giugno 1571. Essa, a distanza di anni, appare come documento degno di considerazione perché uno strumento del genere sembra ridursi a vantaggio di e-mail di rapida ricezione o della posta favorita nel lavorare una corrispondenza minore, pur sempre di ritardata consegna. LE DENUNCE DEL PREVOSTRO CRESPI Don Crespi non esitò a retarsi a Parabiago, quale il prevosto indecentemente ha fatto fabbricare nel sito della sua canonica, ma a nulla varse l'intervento perché Don Bianconi, con grande impeto, si turbava. Pertanto Don Crespi non vuole perdere ulteriore tempo e preferì ritornare a Regnano, non senza avere sottolineato la contrarietà per l'atteggiamento di Don Bianconi, scrivendo Non. Ho mai voluto compiacere. Non sa scrivere la parola scuola. Don Crespi, docente alla sapienza di Roma, chiama tracce vincolate, le quali obbligano a precise modalità espressive, a dominare il discorso senza lasciarsi andare in flusso parlato. Per Don Crespi non contava tanto il vocabolo colto quanto la preferenza soggettiva volta, magari a strafalcioni marchiani, alla segnalazione del caso particolare presso il superiore cardinale. La conferma viene da numerose lettere conservate un po' dovunque, a Milano, presso la Biblioteca Ambrosiana, la Braidense, Tribuziana, gli archivi della Curia Civescovile di Stato e diverse congregazioni religiose tipo i Gesuiti e i Barnabiti. Non doveva mancare grinta a Don Crespi quando non esitò, pur come indegno prete, a denunciare i potetici suprusi nei quali corse prevoste di Parabiago, revocando la statione del giubileo delle Gese di Legnano e delle sue terre della Pieve. Per ridurre solo all'altare maggiore della chiesa prepositorale e con l'obbligo di cinque processioni sotto l'insegna della croce. Questo in una lettera del 13 giugno del 1576. Ma anche per rassicurare sulla legittimità della nascita di un futuro sacerdote che, avuto acchericato, era collocato nel seminario di Milano. La segnalazione di lui reddito paterno può sembrare inutile appendice, ma trova giustificazione nell'età avanzata dei genitori, del carico di una numerosa famiglia e di due livelli o affitti di lunga durata. Sul fronte opposto richiamo preventorio del curato a molti gentilomini e particolari tra lì del borgo legnano, in una lettera del 13 marzo del 1573, che sono stati invitati a restituire Maltolto e a soddisfare gli obblighi tenuti con la località. Don Crespi non li avrebbe comunicati se non avesse fatto la debita restituzione, salvo qualche licenza particolare concesso dal vescovo. I richiamati gentiluomini o privati cittadini che fossero, sentendosi privati dei beni, gli affitti vari della Scuola della Misericordia, della fabbrica di San Magno, dell'ospedale locale venduti dal comune per comodo e servizio pubblico a causa di imposizioni militari, comparvero davanti al parroco, facendo proponimento di soddisfare con la loro contingente porzione. Allo scopo era essere persone perché si recassero dal vescovo e ricevessero ordini sul da farsi, in modo che gli interessati potessero comunicarsi almeno per Pasqua. I rapporti con i monasteri. Di temperamento forse focoso, ma senza peli sulla lingua, non abituato alle mezze misure, Don Crespi non esitò a prendere posizione anche nei confronti di monache e frati di Legnano. Si aiuta una lettera datata 28 di maggio del 1571. Il curato ha avvisato le suore di Santa Chiara di Legnano di non accettare più figliuole di sorta alcuna per allevarli nel monastero, senza espressa licenza. Al momento del richiamo tre erano le putte o ragazze ospitate, rispettivamente di 14, 15 e 16 anni, provenienti da Busto Grande, Canegrate e Legnano. E tutto ciò, indipendentemente dei privilegi fruiti dalle monache, costituite in uno dei nove comunetti legnanesi, sopravvissuti fino alla fine della dominazione austriaca. Più decise le note sui padri soccolanti del monastero di Sant'Angelo di Legnano, da una lettera del 10 di aprile del 1584, e senza reticenza anche nei confronti di Monsignor Pione, che aveva fatto passare alla confessione doi di quei frati, uomini ignoranti. In materia colpiva il curato Crespi il fatto che si assolvessero gente di ogni sorta reprovati dai curati. Così egli scriveva al Borromeo. Monsignor Pione ha fatto perché quando va là a Sant'Angelo gli dava da mangiare. Necessario quindi un provvedimento dell'escomo. Ne deriva la sensazione di una certa frizione tra curati e frati, esistente anche a Nerviano, tra i padri olivetani eretti a Comunetto e la parrocchia di Santo Stefano. Spesso gelosia, interferenza e rivalità di genere diverso turbavano il quieto vivere, a causa specialmente del carattere vivace del Monici, come si ricava dagli scritti di Agostino Terzaghi del 1600, prevosto dalla pieve di Nerviano e dotato di straordinaria cultura. Altrettanto pruriginoso il rapporto dei parrucci parabeaghesi prima con i padri ambrosini, poi con i cistercensi del monastero di Sant'Ambrogio della Vittoria, presso il quale pur furono trasferite le funzioni religiose durante la ristrutturazione della chiesa parrocchiale, verso la fine del Settecento, al tempo del Pier Marini. Sempre sorvegliati, i frati di Saronno, e richiamati al rispetto delle norme, si è pescati in libera uscita verso Milano e senza permesso. Con i capocini di Cerro Maggiore, dove sono nato, ho sempre avuto ottime relazioni. Da padre Carlo Varischi ho appreso i primi alludimenti del latino, a frate Stefano al secolo Giacomo Carminati, questuante del convento, ed ero legato da profonda amicizia. Di un memorialista come lui, ho sempre apprezzato la capacità di scendere con cordialità sulla dimensione del quotidiano. Non dimentico però che una processione, forse un poco folcloristica, organizzata nei capuccini quando ero ragazzo, suscitò le critiche del parroco protempore a Cerro. Svarioni a parte, dalle lettere richiamate, portate velocemente a destinazione dal pedone, emerge la sensazione di una comunicazione rispettosa nell'interlocutore e ascoltatore anche in futuro. Il ripiego sulla parola inusuale finisce per colorare uno spaccato di vita lindonese, mentre i dati della realtà ora appaiono spesso incamerati in maniera confusa e la conversazione diventa più complessa. Sottotitoli e revisione a cura di QTSS

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