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www.redigio.it e la storia continua Il testamento di Giovanni Battista Specio, primo prevosto a Legnano nel 1584. Le sue ultime volontà, quelle del prelato, è una curiosità nell'inventario dei beni. Fedele interprete delle norme varate dal Concilio Tridentino, Carlo Borromeo, raggiunta la sede episcopale di Milano nel 1565, si accinge a una gigantesca opera di rinnovamento, realizzando quella riforma che attendevano la provincia ecclesiastica di Milano e anche la Chiesa. Numerose le operazioni effettuate, tra le quali la ristrutturazione territoriale della Diocese milanese. Nel rispetto delle antiche realtà locali, effettuò la trasposizione di alcune capofievi dalla sede antica a un'altra meno lontana, ritenuta più idonea, all'interno del territorio plebano, anche se non sempre apprezzata dagli interessati. Da ricordare alcuni passaggi di capofievi da Brebbia a Besolzo, da Castelseprio a Carnago, da Galliano a Cantù, da Garlate a Olgiate, da Olgiatiolona a Bustarsizio, da Parabiago a Legnano e, in quest'ultimo caso, effettuato il 7 agosto del 1584. Mentre a Parabiago fu istituita una parrocchia, a presiedere come prevostro la nuova pieve di Legnano fu chiamato il reverendo Giovanni Battista Specio, il cui curriculum vitae è stato tratteggiato da Agostino Polso nella storia delle chiese di Legnano del 1650. Meno conosciuto è invece il testamento dello Specio. Grazie alle informazioni fornite da Paola, Barbara, Piccone e Conti è stato possibile rintracciare il documento rogato il 26 marzo 1626 dal notaio Giovanni Battista Crivelli questo lo si trova nell'archivio di Stato di Milano, notarile, carteggio 26240. L'atto è costituito da 14 pagine in cattive condizioni di conservazione come gli altri documenti della stessa filza e si sta sbriciolando ed è già mancante dello spigolo superiore destro. Il documento segue un metodo tradizionale a partire dalla fine del 1500, valido per tutti i ceti. Sotto l'influsso della cultura della controriforma contiene una prima parte che riguarda le disposizioni per il funerale mentre la seconda stabilisce legati vari e disposizioni riguardanti l'eredità vera e propria, contesto in latino. L'atto praticamente inizia con la data seguita dalla dichiarazione di identità e di volontà del testamento. Le ultime volontà del prelato. In sostanza, il prevosto specio, una volta dichiarato di essere sano di mente, nel pieno possesso delle facoltà mentali, forte delle ammunizioni fornite dalle istituzioni divine e dell'insegnamento morale, considerato che ogni giorno poteva essere l'ultimo di vita, in possesso di un giusto linguaggio, si disponeva a lasciare i suoi beni in ordine dei posteri perché non sorgessero tra loro liti o discordie. Poiché vita e morte erano nelle mani di Dio Onnipotente, era meglio vivere sotto il timore della morte che sotto la speranza di arrivare ad una fine improvvisa. Come fedele cristiano raccomandava l'anima all'Altissimo Creatore, alla Vergine e a San Giovanni Battista, e a San Giovanni Evangelista, a San Carlo e a tutta la Curia Celeste, perché con le loro preghere avessero compassione dei suoi peccati. Il corpo doveva essere sepolto nella Basilica di San Magno a spese degli eredi e dei fabbricieri della Chiesa. Subito dopo la morte si dovevano celebrare tre uffici da morto con l'intervento dei sacerdoti della pieve e a ognuno dei quali doveva essere consegnato un cero del peso di una libra, quindi da 300 a 500 grammi circa. Analogamente sul catafalco occorreva disporre otto torce per ogni ufficio. Qualora fossero stati rintracciati oggetti indebitamente pervenuti al testatore, dovevano essere istituiti immediatamente. Occorreva vendere tutti i beni rinvenuti, utilizzando il ricavazzo personale eventuali debiti contratti prima della morte. Il testatore aggravava gli eredi a impiegare e a fare impiegare a morte avvenuta cento scudi d'oro in qualche proprietà idonea, in modo che ogni anno si potessero percepire almeno lire 36 imperiali, a beneficio imperpezzo della prepositura. Inoltre, gli stessi eredi erano obbligati a investire lire 60 imperiali in proprietà adeguata, perché si ricavassero ogni anno lire 3 a beneficio della prepositura. A seguire, diversi legati in denaro, renti giucati alla fabbrica di Santa Maria delle Grazie, un appezzamento di terra pari aperti che 14 per la Cappella di San Carlo nella Basilica di San Magno, a fatto che fossero celebrate due messe alla settimana, scudi 60 d'oro alla fabbrica di Monte San Carlo in Arona, circa 4 moggia di mistura di frumento e segale, 4 scudi d'oro, un indumento del valore di 8 scudi al fratello Alessandro, 100 scudi d'oro alla nipote Anna, lire 30 alle professe del monastero di Sant'Agata in Lanate Pozzolo, un appezzamento di terra bosco di perti che 27 e un altro di perti che 5 al nipote Andrea, oltre a un letto, una coperta di lana e due cuscini, alcuni scudi d'oro a quanti gli avessero prestato fedele servitù, ai parenti prevosti tutti i libri e i mobili, perché non avessero a pretendere altro. Era compito degli eredi effettuare l'inventario di tutti i beni mobili e immobili, con usufrutto infra temporis obitus al fratello Baldassarre notaio in venerate. Furono nominati eredi universali i fratelli Andrea Carlo, prevosto di Alcisate, Giovanni Giacomo, prevosto di Carnago, i nipoti Giovanni Battista, Francesco, Carlo Cristoforo. Il testamento fu steso nella camera del testatore, presente Carlo Francesco Crivelli, figlio del notaio arrogante, testimoni delle volontà del prevosto, molto reverendo presbitero Gaspare De Cerpis, Cian Battista Rampugnani, noto e conosciuto e richiesto dal testatore Carlo Crivelli. A conclusione, quello che in paleografia è detto Signum Tabellionis, o logo del notaio Giovanni Battista Crivelli, figlio del furoso ricco abitante nel borgo di Regnano. Piccole varianti del testamento furono introdotte per mano dello stesso notaio, con un codicillo del primo novembre 1627. È nell'ambito notarile fissa 26241, riguardanti la successione dei figli del fratello Alessandro e la sorella Maddalena, ma anche per il servitore Paolino Tieli, al quale lo specchio aveva destinato dieci scudi d'oro. Curiosità nell'inventario dei beni Alla morte dello specchio, avvenuta il 13 novembre 1627, gli eredi universali provvidero all'inventario dei beni lasciati dal prevosto, effettuato non più in latino. Fu catalogata una serie infinita di caravattole, che a distanza di tempo, con la loro disegnazione, permettono di riacquistare, permettono di risciacquare la bocca alla fonte della parlata vernacolare, senza raffinettezze stilistiche, senza il supporto di stopposi angolismi. Erano cadreghe, fruste di corame rosso, delle valiopinte vorsure, da avvicinare a tavoli di noce, ma non mancavano gli scagni. C'era una serie di graticole, padelotti, padelline, padelle, caldarine e, in un altro locale, coperte, credenze, casse noce, un letto, otto tovaglie, scansie, pezzi di maiorica, perfino 64 libri di petro. Può stupire la trasmissione del messaggio con inflessioni locali, ma per chi comunicava contava l'immediatezza del discorso. Nella talla un cavallo bianco, vivo, piccolo, cui facevano compagnia diversi vaselli o tini. Poteva servire per il trasporto di merci come persone. Non c'era ancora all'automobile quale mezzo di trasporto, per la quale, anche oggi, non sembra che tutti i preuosti manifestino tifo particolare, affidandosi per piccoli tragetti alla bicicletta. Per me rimane ancora il ricordo del cavallo, quando da piccolo l'animale tirava un carretto per trasportarmi con i nonni il 24 agosto da Cerro Maggiore a Cantalò per la festa di San Bartolome, quando l'Inghiria veniva buona dalla Va' Ipi. Ed eravamo nella prima metà del Novecento. Sopra la cassina, a Legnano, in un piccolo solaio, si trovavano scorte di 24 mogia di frumento, 13 di segre, un mogio è uguale a 8 staia, vari a 146 kg, virgola 23, e due mogia di fave da prangere. Quattro staia di miglio. Il patrimonio era impreziosito da diversi apprezzamenti di terra, per lo più coltivata a vite, dai nomi vari come la Novella, la Cantinera, Beccantina, un pezzo di terra di vigna lavorata da Ambrosio Prandoni. Un altro apprezzamento di terra, detto il Chigginello, risultava acquistato dal signor Gaspari Rampugnano di Legnarello, apprezzo di 300 scudi con affitto livellario, cioè registrato in apposito registro catastale, il livello. Quanto detto può sembrare puramente negativo se non potesse servire a conoscere alcune idee delle quali la gente della provincia di Milano era solita ispirarsi nel momento in cui si accingeva a pensare alla morte e a ciò che ne sarebbe derivato, umano o ultraterreno che fosse. Sottotitoli e revisione a cura di QTSS