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www.redigio.it e la storia continua. Il dialetto, modi di dire nella letteratura dialettale. Nel Cinquecento si registra un'autentica fioritura della letteratura popolare dialettale in tutte le regioni italiane. In particolare i proverbi hanno cominciato da allora ad assolvere il compito di identificarsi con la morale della favola. Quasi tutti i poeti dialettali hanno sentito il bisogno di dedicarsi anche a quella forma letteraria che se da una parte fusse dai costumi dall'altra tende ad educare. La fortuna dei proverbi si deve certo al fatto che in una forma semplice, breve e spesso arguta esprimono i frutti della saggezza e dell'esperienza dei nostri avi. Ci ripetono chiare verità morali, opportuni ammonimenti della vita esprimendosi facilmente nella mente del popolo. Molte espressioni e forme occupano, tra le altre, quelle sui comportamenti nei quali il dialetto lenianese è particolarmente ricco, facendosi conoscere attraverso questa letteratura popolare indole sentimenti, tendenze ed abitudini. Ad esempio, per descrivere un fanullone o una persona che ha tempo da perdere nei proverbi lenianesi, si dice che questa persona «ga il bun tempo» oppure «hae man sul dio mio». Chi ha la lingua lunga è apostrofata come «Zabeta da linguer» come chi parla vanvera o è un «voltafaccia» si dice che «vervi buca fera parol» e ha «un querciu calva ben partuti calder». Ecco una serie di moti di dire che hanno come denominatore comune i comportamenti dell'uomo. «Fa ul balos» fare il furbo. «Drisu da palancheta» furbastro. «Burla fera a dii» lasciarsi scappare detto. «Haga ul buel inversu» alla luna. «Inversu me un pidrieu» essere arrabbiato. «Alvusa me un brajan» una persona che strilla. «In cui e camisa» sono sempre vicini. «Brusa un paion» fregare il prossimo. «Cascia fera i curai» arrabbiarsi o farsi valere. «Daga la guncia» assecondalo. «Le infuga» è il guardingo in quanto ricercato. «Drisu me un fus» impettito. «Fa mustra da» fingere di. «Fa nanca una piega» non preoccuparsi. «Senza cinquantala» senza pensarci troppo. «Fam no saltau l'futum» non farmi arrabbiare. «In pe intera» o pentera, scalzo. «Alfa stima tuttu» si pavoneggia. «In dre me un cardarefu» ignorante. «Daga tra no» non dargli retta. «Le bun per i cai» è un tipo sconsigliabile. «Fa saltau l'fungiu» cioè indervosire, infastidire. «Le giu da birru» oppure «le giu da corda» è giu di morale. «Lassa bevi» cade l'acqua di poi, ma lascia correre. «Mareceru usa» una persona affabile e cerimoniosa. «Mangia e be affia d'oca» scroccare. «Parladre» sparlare. «Vulta un fiu in da cuna» cambiare le carte in tavola. «Pien me un lulin» è una persona ubriaca. «Resta chi ta me chel di pom» rimanere male. «Le in bona» è ben disposto. «Scrocu me la luna da ustu» è poco furbo. «Masariscani i busechi» mi spavento. «Vessa tochi» essere stanco. «Senza farsa tovi via» senza dare nell'occhio. «Sincer me l'acqua da busa» c'è quella di una pozzanga. È l'impostore. «Lassa l'induso bredu» lascialo perdere. «Staschis» tacere, fare il furbo. «Stracu me un vilan» molto stanco. «Tacassu da lavajo» oppure «Ciapa da chi che la vendala» fare il contrario di quello che si vorrebbe. «Veggisol musun» essere imbronciato. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org