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www.redigio.it e la storia continua Tradizioni e racconti dalle ablusioni alla gioventù del Vittorio Chi, quando aveva dieci anni da noi, aveva in casa, oltre ai servizi igienici, la fortuna di avere un bagno, bianco come la neve, lungo, largo, delizioso, per starci disteso a crociolarsi nell'acqua candida calda, con la doccia, i primi bagni con l'acqua riscaldata dalla stufa serpentina o riempiti con l'acqua fatta bollire sul focolare della cucina, ma sarebbero bastati anche questi, ma restarono un sogno per noi fino al 35 e per molti fin dopo la guerra. Tre erano i recipienti in uso, capaci di contenere una persona di statura normale, la brenta del bucato e il mastello, quello più piccolo, usato anche per il bucato quando non era in grande quantità. Fatti di legno avevano la forma dei tini dove si piggia il vino, ma erano molti più piccoli. Il terzo recipiente per ragazzi di non più di dieci anni o per la lavanda dei piedi dei vecchi, il bagnino di zinco. L'inverno il bagno non si faceva più di una volta ogni quindici giorni, a riparo per proteggersi dal freddo. Immersi nella brenta giuduga, piena di acqua fatta bollire sulla stufa, nella caldaia della stufa stessa e nel paiolo o nel caldaio. L'estate invece si faceva riscaldare l'acqua al sole, si riempiva la solita brenta del bucato posta in giardino, e poi dentro di slancio, più che a lavarci, si giocava saltando e spruzzando acqua dappertutto per la disperazione delle nostre mamme. E quando era di turno la gioventù, le giovani donne di famiglia, noi maschiacci salivamo di sopra a guardare giù dalla finestra della camera da letto queste ragazzine nude che con incredibile innocenza si lavavano in aree di essere spiati da occhi indiscreti, ma innocenti che volevano solo vedere com'era il diverso. Chissà se le ragazze si comportavano così come noi. Le nostre mamme erano guardinche e sospettose, e se ci coglievano sul fatto ce le suonavano di santa ragione, preferendo però, quando toccava loro, per evitare spiacevoli complicazioni, restare chiuse in cucina anche d'estate. Questo accadeva perché avevamo una curiosità insanziabile, che si nutriva di quotidiana realtà, e qualsiasi novità o diversità spingeva la nostra voglia a vedere e a sapere sempre di più. La vita dura e aperta a tutte le esperienze ci faceva diventare ometti prima del tempo. A dieci anni qualcuno lavorava già nelle fabbriche come operaio clandestino. Aiutavamo nei campi, andavamo fino a Samarati a piedi per frequentare la quinta elementare, e sapevamo condurre un cavallo, e a quante volte sotto la violenza di un acquazzone restavamo sul prato fino al lavoro ultimato, per formare le mete perché il fieno si bagnasse il meno possibile. Altro che giudò, altro che nuoto, altro che essere accompagnati in macchina alla scuola che diste appena duecento metri da casa. La nostra è stata una gioventù dell'editorio. Hanno detto di tutto su quel periodo e di quella gioventù, con disprezzo per parere alla moda e con tante ignorante superficialità. Io non ho niente da rimpiangere o da cambiare. La libertà non c'è solo quando la si ama abbastanza e quando per essa non si è disposti a fare sacrifici ogni giorno. Nei momenti attuali, sia pubblici che privati, non c'è altro che essere allegri. Non si può considerarli come esempio da seguire. Il meglio della nazione, che ci dà da fare o è al potere, viene dalla gioventù dell'editorio o discende dalla gioventù dell'editorio. Le virtù, come i difetti, sono proprietà di tutti e sono un retaggio della nostra natura. Non dimentichiamo che Adamo è stato creato dal fango come materiale da costruzione. Si poteva usare di peggio?

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