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The speaker continues the reflection on the Eucharist, discussing the importance of bread in ancient times and its significance in Christianity. They mention various aspects of the bread, such as its connection to God, the Paschal mystery, unity with Christ and among believers, and the symbolism of purity and incarnation. They also discuss the Eucharist as a meal of thanksgiving and remembrance, the real presence of Christ in the bread, and the importance of silence and adoration after receiving communion. The bread represents the insufficiency of material bread and the need for spiritual nourishment. The hunger of the people is a hunger for God and the meaning of life. Christ offers himself as the answer to these questions and goes beyond them. Continuiamo allora la nostra riflessione sull'Eucaristia Cibo di Vita Eterna. Ogni volta, ogni settimana riprendo quanto abbiamo fatto, almeno come titoli, da ottobre a oggi. Allora, importanza del pane nell'antichità, con l'avvento del cristianesimo abbiamo avuto alcuni ulteriori significati. Il pane come segno di Dio stesso. Voi però per ora non mi vedete e allora vi devo dare la visuale. E poi il pane richiama il mistero Pasquale, quarto richiama l'unione con Cristo e tra di noi, poi il pane richiama lo status del telegrino, alcuni aspetti dell'amore, l'ostia bianca richiama la purezza, il pane eucaristico richiama l'incarnazione, il pane è frutto della terra e del lavoro dell'uomo, il pane è dato a tutti, la prefigurazione nell'Antico Testamento attraverso la manna, il buon profumo, il pane del cielo, questi li abbiamo visti un po' nel discorso, il pane azzimo perché azimo, Cristo chicco di grano, due pani, mense, l'unità fra le due mense. La mensa del pane e la mensa del corpo di Cristo è sempre però lo stesso Cristo che prima ti alimenta con la sua parola e poi ti alimenta con il suo corpo. E allora proseguiamo ora con quest'altro, il pane del cielo, qui però, scusate, non mi ha mandato avanti, adesso andiamo a vedere dov'è, questo l'abbiamo fatto, dovremmo essere qui, eccolo qui, ok. Il pane dunque per essere mangiato e adorato, soltanto nella celebrazione in atto emerge chiaramente come la comunione e traguardo normale di ogni messa. È un punto di arrivo che presuppone però altri momenti, altri fatti fondamentali della messa. Ad esempio messa noi la chiamiamo anche Eucaristia, e cioè rendimento di lode e di grazie. È Gesù Cristo che rende lode e grazie a Dio, al nome nostro, per punto nostro. E dunque ecco, è un rendimento di grazie la messa che supera ogni altra parola, ogni altra preghiera di lode o di ringraziamento che noi, semplicemente noi con le nostre forze, col nostro cuore possiamo fare. Poi sappiamo, è mensa della parola, ci abbiamo già un po' riflettuto, poi è memoriale della Pasqua, l'Eucaristia, è la celebrazione della morte e della risurrezione di Cristo nell'attesa della sua venuta alla fine dei tempi, alla fine del mondo. Poi è la sua presenza reale, e dunque quella che noi chiamiamo la transustanziazione, e cioè la sostanza del pane diventa il corpo di Cristo, pur mantenendo inalterati gli aspetti esteriori del pane, la forma del pane, il sapore del pane, il colore del pane, e dunque gli aspetti esteriori non cambiano, ma quello che cambia, grazie alla consacrazione, è appunto la sostanza del pane, che non è più pane, ma è il corpo di Cristo. E dunque ecco, giacché si sono potuti realizzare questi altri aspetti fondamentali dell'Eucaristia, e dunque pertanto è ora possibile anche fare la comunione, cioè accedere alla comunione sacramentale al corpo di Cristo. Dopo che mi sono cibato della di Cristo come pane di vita eterna, come parola di vita eterna. Del resto, il gesto della frazione del pane, gesto che ha dato origine ad uno dei primi nomi per indicare la Messa, infatti la Messa ha avuto tanti e anche attualmente tanti nomi, anche perché è il sacramento più importante, è il dono più grande che il Signore ci ha lasciato, e quindi è logico che presenta vari aspetti, e una sola parola, un solo termine, non può esprimere contemporaneamente tutti i molteplici aspetti della Messa. Ecco perché noi allora la chiamiamo Messa, Eucaristia, Santo Sacrificio e Frazione del pane, e dunque abbiamo appunto varie e vari nomi con cui appunto l'Eucaristia è indicata. E Frazione del pane è stato uno dei primi nomi con cui già nell'epoca apostolica, al tempo degli Apostoli, è stato indicato questo modo di celebrare, ed è proprio in funzione della comunione. Ed è pertanto un gesto a altamento significativo per comprendere il messaggio del pane eucaristico, la Frazione del pane, lo spezzare, lo spezzolo viene ai suoi discepoli. Frazione significa frangere, rompere, spezzare quel pane perché possa essere donato, distribuito a tutti noi. Che sollecita dunque alla condivisione, alla comunione fraterna, il fatto che partecipiamo e mangiamo lo stesso pane, abbiamo letto più volte che questo comporta che abbiamo ad essere uno fra di noi, perché Cristo ci unisce a sé e unendoci a sé ci unisce anche fra di noi. Rimanda quindi e sollecita l'unità stessa della Chiesa, dei Cristiani, e nello stesso tempo rimanda anche all'adorazione. È un pane sì che va mangiato, ma è un pane che anzitutto va anche adorato. E soprattutto ecco qui raccomanderei il momento in cui noi accediamo, andiamo alla comunione sacramentale, ricordiamoci che dopo aver accolto Cristo Signore pane vivo, disceso dal cielo, averlo accolto dentro di noi con la comunione eucaristica, beh ricordiamoci che noi, almeno per alcuni minuti, diventiamo il tabernacolo di Cristo. Svolgiamo un po' la stessa funzione del tabernacolo delle nostre Chiese, dove Cristo è presente corpo, sangue, anima e divinità, ecco in chi fa la comunione eucaristica almeno per alcuni minuti Cristo è presente corpo, sangue, anima e divinità come è presente nel tabernacolo. Per cui giustamente noi possiamo dire che facendo la comunione sacramentale eucaristica al corpo di Cristo diventiamo almeno per alcuni minuti il tabernacolo di Cristo Signore. Ecco allora l'importanza anche di trascorrere nel silenzio, nell'adorazione quei minuti. Una volta che abbiamo fatto la comunione eucaristica, tornando al nostro posto nel banco, sarebbe quanto mai necessario che ci concentrassimo su questo momento, su questi istanti, su questi minuti, per adorare Cristo Signore che è realmente presente dentro di noi. Ecco, momenti da dedicare dunque al silenzio, all'adorazione, all'ascolto del Signore che ci parla e anche a rivolgere al Signore le nostre parole, sia di lode, sia di ringraziamento, sia di adorazione, sia anche di invocazione di aiuto. Altro elemento, il pane eucaristico indica l'insufficienza del pane materiale, fa alzare gli occhi al cielo. Qui ricordiamoci anzitutto quello che è avvenuto anche quel giorno in cui il Signore Gesù, trovandosi nel deserto, ha fatto la moltiplicazione dei pani e dei pesci, sfamando più di 5.000 uomini, senza contare le donne e i bambini. Che volevano fare allora quanti avevano mangiato a sazietà, tant'è vero che poi erano avanzate anche delle ceste sia di pane sia di pesce. Volevano farlo re, questo Signore Gesù che le aveva sfamati. E allora il Signore Gesù dice, beh, voi mi volete fare re perché avete mangiato del pane materiale, ma io ho un pane ancora migliore di questo pane che voi avete mangiato. E allora gli dicono, ma dacci di questo pane migliore. E allora gli fa il discorso di annuncio della istituzione dell'Eucaristia. In anticipo quindi comincia a dire, io sono il pane di vita, chi mangia di me vivrà per me. E dunque sviluppa questo discorso di fronte al quale però i presenti rimangano svalorditi. Questo discorso è duro, non lo comprendiamo, e piano piano se ne vanno. Rimane solo Gesù con i Suoi Apostoli e Gesù che si rivolge a loro dicendo, beh, io non cambio niente di quello che ho detto perché ho detto la verità, però se voi volete andarvene, andatevene anche voi. E allora c'è Pietro che dice, Signore, dove voi che andiamo? Tu solo hai parole di vita e te, e noi crediamo e abbiamo creduto a te. Dunque vedete che il Signore Gesù anche già in questo miracolo che ha compiuto, ha manifestato questa insufficienza del pane materiale e quindi ecco la necessità di rivolgerci a un pane ancora migliore che è il pane eucaristico. E Luca anche ci dice in quella famosa frase, non di solo pane di dell'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Quindi anche qui Luca evidenzia l'insufficienza del pane materiale, abbiamo bisogno anche del pane della parola di Dio. Abbiamo già parlato appunto di questa eucaristia che è mensa, messa, mensa, banchetto della parola di Dio, con tutta la liturgia della parola che ci viene proposta durante appunto soprattutto la messa domenicale con ventre letture tratte appunto dall'Antico e dal Nuovo Testamento. Il pane materiale certo che è necessario, ma non è sufficiente. Questo non dovremmo mai dimenticarlo insomma. Abbiamo bisogno del pane, forse anche del superfluo, ma è importante però che comprendiamo che non possiamo limitarci lì, non è sufficiente. Noi non siamo solo corpo, ma siamo anche anima. Non siamo solo fatti e di corpo, ma siamo anima. Notate come la fede cristiana preferisce appunto usare il verbo essere quando parliamo di anima e di corpo, piuttosto che dire io ho un'anima, io ho un corpo, è meglio, è molto meglio da un punto di vista della fede cristiana dire io sono corpo e anima, il verbo essere. E identifica meglio appunto la nostra identità, la nostra esclusività come persone umane. La fame della folla è fame di Dio, di parola di Dio, di Gesù, del suo corpo, del suo sangue. È ricerca del senso della vita. Qui è sempre da che mondo è mondo, da che uomo è uomo, sempre la persona se posta alcuni interrogativi fondamentali e ha cercato di dare una risposta a questi interrogativi. Pensate ad esempio alla domanda chi sono io, da dove vengo, qual è il fine, il senso, il valore della mia vita, di ogni giornata, di questo avvicendarsi di giorni, qual è il senso dell'universo, il senso del creato, il senso dell'umanità, dove sta andando l'umanità, qual è la meta, qual è il fine, che cosa ci attende oltre la morte, qual è il legame tra questa vita terrena e la vita ultraterrena. Dunque, qual è il senso del dolore, il senso del fine dell'amare, il senso del fine del soffrire, della morte stessa, qual è il senso? E dunque, sono tutte domande che riguardano il senso del nostro esistere, il significato, il valore, l'importanza della nostra vita, del nostro esistere. Che solo in Cristo è pienamente e abbondantemente e pienamente appagato. Ecco, Cristo appunto si offre a noi come risposta a queste domande, ma direi che Cristo va anche ben oltre queste nostre domande. Qualche volta è stato detto che la fede cristiana, per rispondere a queste domande, dà quasi l'impressione di presentare un Dio quasi tappabuchi, e cioè io prendo coscienza delle mie deficienze, dei miei buchi, delle domande che si pongono nella mia vita, e allora chiamo Dio a tappare il buco che io non so tappare, che non so chiudere, e chiamo Dio a dare la risposta a queste domande. Ora, è vero che Gesù Cristo risponde anche alle nostre domande, però va anche ben oltre le nostre domande, le nostre attese, i nostri desideri. È un Dio quello di Gesù Cristo che, certo, gli dà anche delle risposte alle domande che tu poni, ma gli apre anche orizzonti nuovi che mai avresti potuto immaginare e pensare. Pensiamo ad esempio al fatto chi mai avrebbe potuto pensare che Yahweh, il Dio Yahweh, il Dio dell'Antico Testamento, avrebbe inviato suo figlio che assume la natura umana da una vergine concepito per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria. Chi avrebbe mai potuto immaginare o pensare una realtà di questo tipo, comeppure chi di noi avrebbe potuto pensare che una volta venuto su questa terra per salvarsi, per liberarsi dal peccato, sarebbe andato a morire in croce e poi sarebbe risorto, avrebbe condiviso la nostra condizione umana anche nella morte e nella sofferenza e poi l'avrebbe vinta con la sua risurrezione. Quindi non possiamo certo dire che è un Dio semplicemente tappabuchi, perché va ben oltre quelli che sono le attese, i desideri, i pensieri stessi di noi persone umane. Durante l'ultima cena Gesù prende un pane, alza gli occhi al cielo. Ecco, importante anche questo atteggiamento, questo comportamento del Signore Gesù. Alza gli occhi al cielo. Forse, forse noi non abbiamo gli occhi un po' troppo rivolti verso il basso, verso la terra? Ecco, ogni qual volta celebriamo l'Eucaristia, ecco il Signore anche noi ci invita a guardare un po' verso di Lui, verso l'alto, verso il cielo. Come ha fatto Lui? Ora, non è semplicemente un comportamento umano che non abbia anche un valore, un significato soprannaturale, religioso, che va ben oltre un significato spirituale. È un invito, penso, a non abbassare sempre gli occhi verso di noi, verso le nostre cose, verso la nostra terra, verso... Sì, è vero, noi abbiamo i piedi per terra, dobbiamo camminare qui sulla terra finché il Signore lo desidera, lo vuole. Ma non dimentichiamo che il nostro volto è sollecitato a guardare in avanti, a guardare in alto, a guardare appunto, a non guardare semplicemente le cose di questa terra e di questo mondo, ma anche ad aprire la mente, il cuore, il pensiero, lo sguardo verso l'alto, verso Dio. Qui cielo l'ho messo appunto anche con la C maiuscola per indicare che non è semplicemente quello che vediamo con i nostri occhi materiali sopra di noi, ma è il cielo, la presenza di Dio, è Dio stesso, è il paradiso. Lo benedice, lo spezza questo pane, lo dà agli apostoli dicendo loro, prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prende un calice pieno di vino, alza ancora gli occhi al cielo, lo benedice, lo porge loro dicendo, prendete e bevete. Dunque, lasciamoci un po' coinvolgere da questo sguardo di Gesù, che già altre volte ho sottolineato quanto anche sia importante al momento della consacrazione che i nostri occhi, al momento in cui, soprattutto il celebrante, quando innalza l'ossia e poi il calice, che i nostri occhi siano rivolti in avanti su quell'ossia, su quel calice, normalmente noi vediamo che il presbiterio è collocato più in alto rispetto al luogo dove si trovano i fedeli. Ecco, è un invito anche quello, ad alzare lo sguardo un po' verso l'alto, verso il cielo, concentrando il nostro sguardo tutti insieme su quell'ossia. Sono come tante frecce, piene di amore, piene di ringraziamento, di lode, di adorazione, frecce che partano, che partono dal volto, dagli occhi di ciascuno di noi partecipanti all'Eucaristia e che sono tutti concentrati queste frecce, tutte raggiungono, colpiscono quell'ossia consacrata e quel vino consacrato. Ecco, e dunque proprio perché i nostri occhi, il nostro sguardo è tutto rivolto e impresso su quell'ossia e su quel calice, ecco che anche i nostri occhi allora risultano uniti fra di noi, ben più di quelli che sono i gesti esteriori. No, e soprattutto è il gesto di comunione di fede che viene realizzato da Cristo Signore che unendoci a sé, uniti a Lui, risultiamo uniti anche fra di noi, in una maniera più vera, più intensa, più efficace, che non addirittura con quella degli abbracci o, appunto, strette di mano. Dovremmo essere coscienti un po' di più di questo momento e quindi anche viverlo con grande intensità di fede, di cuore, di amore, di lode, di adorazione, questo momento della consagrazione, ma in genere anche un po' tutta la preghiera eucalistica come poi anche tutta la preghiera anche della Messa e perché anche la stessa liturgia della parola, quella parola che viene proclamata dall'ambone attraverso il lettore. I nostri occhi anche lì dovrebbero essere rivolti sull'ambone, se non proprio sul lettore, ma almeno sull'ambone, che è segno della presenza del Signore Gesù che ci parla, che ci parla con la Sua parola e che si dona a noi, ci alimenta, alimenta la nostra vita con la Sua parola. Ecco, anche lì i nostri occhi dovrebbero essere fissi su quell'ambone, più che sul foglietto, che non è quello il momento di prendere in mano il foglietto e di leggere le letture. No, casomai il foglietto potrebbe esserti utile per la recita del Gloria, del Credo, se non lo sai a memoria, per rispondere alle parti comuni della Messa, ma le letture, ad esempio, non dovrebbero essere da noi seguite sul foglietto, lette sul foglietto, che pure esiste nelle nostre parrocchie. Dovrebbe invece appunto far parte, come già vi ho detto altre volte, ecco dovremmo invece essere concentrati, alzare i nostri occhi verso l'ambone e i nostri occhi anche lì, insieme con le orecchie, essere tutte indirizzate su quel l'ambone, su quella parola di Dio, su quel Cristo che mi parla, che si rivolge a me e che mi incita a fare spazio nella mia vita alla sua parola, che la sua parola possa trasformare così la mia vita quotidiana. Gesù alza gli occhi al cielo per dire che non è sufficiente l'attenzione alla dimensione umana, corporale, fisica, della nostra vita. Non è sufficiente, è importante, anche il corpo è un dono di Dio, quindi va rispettato, ok, però non è sufficiente. Noi non siamo animali, noi non siamo cose, semplicemente, non siamo neanche angeli, siamo corpo e anima, siamo fisicità e spiritualità, e dunque ecco, il Signore alzando gli occhi al cielo ci ricorda questa grande verità che siamo, e dunque che non è sufficiente l'impegno al pane materiale. Questo lo vorrei dire anche ai genitori, certo, occorre che attraverso il lavoro, svolto onestamente, possiamo e dobbiamo avere il necessario per vivere noi, per dare ai vostri figli, per dare ai nostri familiari, ok, però non è sufficiente. Dobbiamo tenere presente che il marito, la moglie, i figli, i familiari, il nostro prossimo non è solo corpo, e se tu pensi solo al suo corpo e se ti preoccupi solo del suo corpo, tu lo offendi, tu lo degradi, tu lo abbassi nella sua dignità, dalla sua dignità di persona a una dignità semplicemente materiale, fisica, animale. Perché vogliamo offendere in questa maniera la dignità delle persone che ci stanno a fianco. Ecco perché ognuno di noi dovrebbe preoccuparsi sinceramente, veramente, pienamente, della totalità della persona che ha davanti, che ha sì bisogno anche di essere nutrita nel corpo, di essere vestita nel corpo, di essere curata nel corpo, ma ha bisogno anche e soprattutto di un alimento spirituale, di una dimensione spirituale della cura dell'anima, del nutrimento dell'anima. Anche oggigiorno sappiamo quanto la medicina, i medici, insistano sulla visione globale della persona, per cui si parla anche, da parte di ormai tutti i medici, penso, o almeno dalla maggior parte, si parla di curare il malato e non la malattia, e non tanto e solo la malattia, e cioè di rivolgersi alla persona tutta insieme. Chi di noi non ha sentito dal medico l'invito a prendersi le medicine per il nostro corpo, però poi a curare bene lo spirito, a curare bene l'animo, a curare bene, a star su di spirito, di animo, il morale, noi diciamo lo spirituale pure, è tutta la persona, insomma, che è coinvolta, in quanto noi siamo, torna a dire, corpo e anima, e dunque abbiamo bisogno dell'una e dell'altra dimensioni. E se mi limito solo alla dimensione corporale, offendo me stesso, offendo la mia dignità, perché mi abbasso, mi degrado, mi riduco a una sola dimensione, quando invece sono due dimensioni, quella orizzontale e quella verticale, il dialogo con Dio, la relazione con Dio, l'essere, qualora anche non fossi battezzato, sarei, però, pur sempre, a immagine, creato a immagine e somiglianza di Dio, e quindi con l'anima sono in una relazione verticale con l'assoluto, con Dio, con il creatore. Certo, chi poi è battezzato, anche una dimensione ha una marcia in più, e cioè è figlio di Dio, e dunque anche questa dimensione va curata, va approfondita, va purificata, va fatta crescere, insieme col crescere del nostro corpo, della nostra età, degli nostri anni. Quindi che non è sufficiente questo alzare gli occhi al cielo, ci dice il Signore Gesù che non è sufficiente dedicarsi e riempire la nostra vita di cose materiali, ma che è indispensabile alzare gli occhi al cielo e ricevere il dono che Dio sta preparando per i Suoi figli. Ecco, pensate che non siamo noi che prepariamo questo dono, è Lui che ce lo regala, è Sua l'iniziativa. Se pensassimo un po', sempre un po' all'Eucaristia, alla Messa, come non è, sì, siamo noi che decidiamo di andare a Messa la domenica, il giorno italiano, ma pensiamo piuttosto che noi rispondiamo a una chiamata, a una proposta che ci viene da Dio, perché la Messa non la facciamo noi, neanche il prete, è Gesù Cristo che l'ha istituita, è Gesù Cristo che mediante lo Spirito Santo è il protagonista principale della Messa, e quindi non siamo noi gli attori, i protagonisti principali, né il prete e neanche noi i sederi, e noi rispondiamo a un Suo invito, a una Sua proposta. È Lui che ci chiama, ci attende alla Messa, soprattutto domenicale, perché vuole alimentare la nostra vita, vuole darci nuova forza, nuovo alimento, con la Sua parola e poi anche con il Suo corpo, e se non lo posso ricevere con il Suo corpo, almeno mi faccio alimentare da Lui con la Sua parola, con la Sua presenza specialissima, sacramentale, che Lui realizza durante la Messa, presenza reale. E dunque tutto questo è un ben di Dio che Lui ci offre ogni domenica, a pochissimi metri da casa nostra, ed è il miracolo, più volte anche questo lo dico e lo ripeto, è il miracolo più grande con cui noi abbiamo a che fare qui sulla terra. Il miracolo appunto con il quale Lui si fa presente, offre al Padre la Sua vita per la nostra salvezza, testimonia l'infinito amore con il quale il Padre ci ama e nello stesso tempo si offre a noi come alimento con la Sua parola e con il Suo corpo e il Suo sangue. Ma che vogliamo di più e di meglio? Che cosa possiamo attenderci di più e di meglio in questa vita? Certo, poi avremo nell'altra vita la visione di Dio faccia a faccia, però ecco, le due vite, la vita terrena vissuta in maniera eucaristica e la vita eterna, ecco, manifestano e hanno questo profondo legame. Anche perché quel Signore Gesù che noi ora ascoltiamo attraverso il segno della Sua parola, il segno dell'ambone, il segno del lettore e poi il segno del pane e del vino, accogliamo il Suo corpo e il Suo sangue, dopo la nostra morte abbiamo la possibilità di vederlo faccia a faccia, di goderlo per tutta l'eternità, al di fuori del tempo e dello spazio. Ecco, alzare gli occhi al cielo, come ha fatto Gesù, indica, implica un po' tutto questo ben di Dio. La spiga dorata, nella sua longilinea armonia, anch'essa si innalza verso il cielo. Ecco, anche questo è un segno. Quel pane è frutto che viene dal grano che è contenuto in quella spiga, la quale appunto s'erge, si erge, si innalza anch'essa verso il cielo. Anche questo è un richiamo molto bello, diciamo anche un po' poetico di quello che noi celebriamo nell'Eucaristia. Ricordiamocelo, quel pane è fatto di farina, la farina è fatta di chicchi di grano, quei chicchi di grano vengono da una spiga, dalle spighe, quelle spighe che, quanto è bello anche vedere così un campo dove appunto è tutto segmentato di spighe, tutto color oro queste spighe. Ecco, sono ricchissime di questi chicchi di grano e tutti cercano sempre di più la luce del sole, cercano sempre di più di essere illuminati e riscaldati dal sole e vogliono questa luce proprio per crescere meglio e per maturare e per poi essere utilizzati e mietuti appunto dal contadino. E anche questo è un'immagine che senz'altro è un invito a tener presente e a innalzare appunto il nostro sguardo verso l'alto, verso il cielo. Sant'Agostino esclama, inquieto è il nostro cuore finché non riposi in te. Ecco, mi permetto qui di modificare, magari di suggerire, finché non si innalza e non trova la sua pienezza di incontro, di amore in te, o Dio. E' quella innalzarsi per riposare in Lui, per collocarsi in Lui e per rimanere in Lui. Il dramma dell'uomo contemporaneo, purtroppo, è di non avvertire più il bisogno di un altro pane. Qui avrei dovuto mettere A con la maiuscola. Quel pane vero di Dio che dà la vita al mondo. Ecco, se pensiamo che Gesù Cristo stesso ha voluto presentarsi e rimanere presso di noi una volta salito al cielo, sotto la forma del pane, sotto il segno del pane. E' il pane che dà la vita, è il pane che, quel nutrimento, quel cibo che ti consente, consente al nostro corpo il cibo materiale, consente al nostro corpo di vivere, di sopravvivere, di continuare a vivere. Ma anche la nostra anima ha bisogno di questo alimento. E non solo da piccoli, quando così abbiamo ricevuto i sacramenti del Battesimo, della Cresima, della Comunione, della Confessione, ma ogni giorno noi abbiamo bisogno, come il nostro corpo ha bisogno continuamente di questo cibo materiale, senza esagerare naturalmente, ma ha bisogno, e così anche la nostra anima, ha bisogno di un continuo alimento. Non posso dire, come qualche volta mi sento dire da alcune persone adulte, beh io sono andato a catechismo, mi sono andato da fare fino a pannero piccolo, ho fatto tutti i sacramenti e adesso vivo di rendita, adesso ormai insomma sono grande, non ho più bisogno di approfondire la mia fede, di alimentarla, di purificarla, di accrescerla, vivo di rendita. E come se dicessi al mio corpo, t'ho dato da mangiare da piccolo, adesso vivi di rendita di quello che t'ho dato da piccolo. Sarebbe una cosa assurda, incomprensibile. Eppure con la nostra anima, molti anche dei cristiani fanno questo tipo di scelta e purtroppo questo anche fa sì che poi la loro anima, la loro fede, la loro vita spirituale, si impoverisca, si inaridisca e giunga anche a perdersi questa dimensione fondamentale di fede. E' lui, è il pane vero di Dio che dà la vita al mondo e ce la dà ogni giorno, o almeno ogni settimana. Osserva ancora Sant'Agostino, quanti cercano Gesù, la Chiesa, solo per vantaggi personali, solo per ricevere, solo per avere delle grazie nei momenti soprattutto, ad esempio, di difficoltà. Già Sant'Agostino, sapete che ha vissuto nel terzo, quarto secolo, quindi già allora la situazione non era certo migliore rispetto alla nostra. C'è chi ricorre ai preti per riuscire in un affare, via ancora Sant'Agostino. Beh, un tempo forse si ricorreva per avere le raccomandazioni, o per avere oggigiorno, ormai anche noi preti vescovi da questo punto di vista non è che possiamo fare molto ed è bene che non facciamo cose di questo tipo. E' difficile che si cerchi Gesù per Gesù e non per te per avere qualcosa tu. Guardate quant'è bella questa espressione di Sant'Agostino, cercare Gesù per Gesù. Ciò che conta è che uno mangi col cuore, non che mastichi con i denti. Qui naturalmente è un linguaggio figurato. Qualche volta c'è qualche genitore, qualche ragazzino che, soprattutto in vicinanza della prima comunione, ti chiede ma possiamo poi masticare l'ostia con i denti? Perché vedono che anche noi sacerdoti mastichiamo l'ostia durante la comunione, quando facciamo la comunione. E dunque non è in quel senso che appunto qui Sant'Agostino si pone la domanda. E invece ecco che mangiamo con il cuore e non tanto con la bocca e con i denti. Che ci lasciamo anche imboccare da Gesù Cristo con il suo pane che è alimento per la nostra vita e che dà senso, valore e pienezza alla nostra vita. Ecco, mi fermerei qui.