Basket Story is an online monthly magazine that explores the stories of Italian and international basketball. It covers a wide range of topics, from the history of basketball to current events and players. The latest issue features stories from Madrid, Brazil, Spain, and the United States. The magazine also celebrates the 40th anniversary of Virtus Roma's victory in the Scudetto. It discusses various incidents of fights and brawls on the basketball court, including a recent brawl during a game between Real Madrid and Partizan Belgrade. The article highlights the consequences of these fights and calls for stricter penalties. Overall, the magazine offers a comprehensive look into the world of basketball.
Basket Story è un magazine mensile online, per andare alla scoperta delle storie sotto canestro, del basket italiano e internazionale. Un momento di approfondimento, per raccontare storie a tutto tondo, di ieri e di oggi, di personaggi e di squadre, della pallacanestro. Un viaggio da vivere tra il dolce rimbalzo di un pallone sul parquet, ed il chus di una tripla, che brucia la retina, Basket Story è consultabile gratuitamente sul web, ed è realizzato dalla redazione di basketiamo.com. Basket Story taglia il traguardo del ventiseiesimo numero, proponendo in questo mese di aprile un ventaglio di racconti ad ampio raggio.
In questo appuntamento, infatti, si spazia dall'Italia al Brasile, dalla Spagna agli Stati Uniti. E allora salite sulla macchina del tempo, allacciate le cinture di sicurezza e allora, il viaggio avvia inizio. La prima tappa è a Madrid con lo storyboard del direttore Salvatore Cavallo, per Basket & Box. Prendendo spunto da quanto accaduto nel palasporto madrileno, andiamo alla scoperta di altri poco edificanti casi, in cui il parquet si è trasformato in un ring, così invece della palla a spicchi sarebbero serviti i guantoni.
La magia del basket di questo numero parte dalla vicenda della penalizzazione di Varese per evidenziare. Se è una pena del contrapasso è fin troppo severa. Luca Corsolini spazia tutto campo per portare alla rivalta il libro di David Hollander e le sue 13 regole, i successi del basket femminile, dall'ostivale all'altra parte dell'oceano e non solo sul parquet. Il cuore romano di Andrea Ninetti in questo mese ha pulsato ancora più forte, riportando alla mente emozioni incancellabili per il popolo della Virtus Roma.
Ricorre ad aprile, infatti, il quarantennale della vittoria dello Scudetto dei Capitolini, così il vice direttore l'ha celebrato con i suoi primi 40 anni. Prende in via la nuova rubrica, come eravamo, per celebrare ogni mese un campione del passato. In questo primo appuntamento la scelta è stata facilissima. Con Andrea Ninetti che ci ricorda le gesta di quel Klarensky che rivestì un ruolo tutt'altro che trascurabile, nella conquista dello Scudetto della Virtus Roma. Interessantissima la gialloverde story di Federico Bettuzzi che analizza il rendimento dei brasiliani d'Italia.
Saudade do Brasil passa in rassegna i giocatori sbarcati nello spaghetti circuit, partendo da Oscar e scoprendo che, dopo Mousanta, c'è davvero poco da tramandare ai posteri. Roberto Bergogni ci narra la Muresan story, con la traduzione di una mail ricevuta da New York. Con il contributo del suo amico Kenny Grant, Roberto Bergogni apre una finestra sul giocatore più alto di sempre della NBA e ci regala Inside Big Jorge. Ricco di ricordi e personaggi l'appuntamento di aprile di, accade oggi e compleanni, sapientemente curato da Paolo Lorenzi.
La book story torna ad ospitare un gradito amico. Ovvero Simone Marcuzzi che ci presenta il suo libro Le Bronze Ains e l'America. Ancora una double story per la rubrica Gente di Sport. Alessandra Rucco in Big Ben e la gara più sporca della storia, ci narra le controversie vicende di Ben Johnson, l'uomo che provò a detronizzare Carl Lewis. Con The Surfing Duke, Enrico D'Alessio ci porta alla scoperta di Duke Kanamoku, nuotatore, surfista e attore statunitense. Basket Story è consultabile online su basketstory.it mentre il pdf è scaricabile dal link https://es.gd.bs26-2023 Storyboard, Basket & Box, a cura del direttore Salvatore Cavallo.
Il basket è un gioco ruvido, con tanti contatti sotto carestro e lontano dall'anello dei 3 e 0 5. Ma si tratta pur sempre di scontri che rientrano nel gioco del basket e quindi seppur fallosi, sono prevalentemente corretti. Alle volte tuttavia, il rischio è che dal contatto di gioco si passi a quello personale, non certamente lecito e che considerando anche la fisicità degli atleti sul parquet, può debordare e provocare conseguenze difficilmente arginabili. La rissa di giovedì scorso a Madrid non è stata certamente la prima e con ogni probabilità non sarà l'ultima, avvenuta in occasione di una partita di pallacanestro.
Nella storia cestistica infatti più di una volta il parquet si è trasformato in un ring, sul quale sono volate botte da ordi. Così la pallacanestro ha ceduto il passo al pugilato o ancora meglio, al wrestling, con mosse degne dei famosi e famigerati wrestler Hulk Hogan, Tiger Maske o Roman Reigns. Ma facciamo un passo indietro e torniamo allo scorso 27 aprile. Real Madrid e Partizan Belgrado stanno disputando gara 2 dei quarti di finale di Euro League e quando manca 1 minuto e 40 secondi alla sirena finale, sul punteggio di 80 a 95 per gli ospiti ormai avviati a conquistare il 2 a 0 nella serie, il madrileno l'ulacende la miccia con un fallaccio su Panter, dando il via a una mega rissa, mai vista sui campi del vecchio continente.
La reazione di Panter infatti è violenta e in un attimo sembra di essere sul ring con pugni e calci. Il francese del Real Iabusele con una cravatta, tipica mossa da wrestling, prende per il collo Dante Exum del partisane e lo manda al tappeto. In un attimo sul parquet ci sono i due quintetti, i giocatori delle panchine, i coach con gli staff. Volano spintoni, calci, pugni con gli arbitri che decretate ben 24 espulsioni, fanno non poca fatica per ristabilire la calma.
A quel punto per mancanza del numero minimo di giocatori in campo, la partita viene conclusa anticipatamente, con il punteggio al momento dell'interruzione, che verrà poi omologato da Euro League Basketball. A fare le spese di quanto accaduto è innanzitutto Dante Exum, che riporta la rottura del tendine di un dito del piede. Il giocatore del partisane resterà sicuramente fuori in gara 3 ma probabilmente sarà costretto a fermarsi circa due mesi, chiudendo anticipatamente la stagione. Chi si aspettava una sangata a dir poco esemplare è rimasto profondamente deluso.
Nella Real sono stati squalificati Iabusele, colpevole della rottura del tendine del dito di Exum, con appena 5 giornate. Mentre Dek con un turno. Sul fronte partisane, Panker salterà alle prossime due gare mentre l'Essort una, con i club multati di 50.000 euro. Nessuna sanzione per tutti gli altri colpevoli. Insomma ingiustizia è fatta. La storia della palla canestro è ahinoi, ricca di precedenti stile Weezing Center di Madrid, anche se quello più simile risale alla sfida in Biei tra Indiana e Detroit del 19 novembre 2004.
Con 45 secondi e qualche spicciolo al suono della sirena finale indiana era avanti di 15, che coincidenza, quando Ron Artest scatena il finimondo. Ma in quel caso il commissioner David Stern fusò il pugno di ferro, come potete leggere a pagina 40 del numero 11 di Basket Story in cui raccontammo questa storia. Ripercorrendo la poco onorevole storia delle scazzottate tra i giganti della palla canestro e partendo dall'Italia, nel libro nero è finita una pesaro caserta, semifinale playoff del 1985, con pugni, ganci e uppercut, che videro protagonisti nei panni di Pugli, Mike Sylvester e Mike Davis mentre il brasiliano Forscar, Dell'Agnello e Zampolini, ebbero la peggio.
Il tutto accadde a 50 secondi dal termine, sul 113-107 per i pesaresi. In quel caso al termine di un furibondo farà piglia, gli arbitri Vitoro e Duranti portarono a termine la partita. Il giudice sportivo comminò 5 giornate di squalifica a Sylvester ed 1 a Davis. Anche l'Italbasket, un paio di anni prima, fu coinvolta in una rissa da strada come titolò l'equip. È il 30 maggio 1983 e gli Azzurri, lungo la strada che li porterà al trionfo europeo di Nantes, affrontano la Jugoslavia in una partita spigolosa, anche per ruggini precedenti.
I ragazzi di gamba sono avanti nel punteggio, Meneghin commette il quinto pallo su Petrovic che discute animatamente con Gilardi ma nulla di particolare. La situazione sembra sotto controllo. All'improvviso però Kikanovic perde letteralmente la testa e colpisce Villalta la pancia e nel conseguente tutti contro tutti lo stesso Villalta colpisce Dalipagic. Mentre sembra tornare la calma Grbovic prende un paio di forbici per farsi giustizia e la faccenda pare complicarsi. E non di poco. A quel punto entra sul parquet la gendarmeria francese per ripristinare l'ordine, così la partita può riprendere, come la marcia dell'Italia che elimina gli Slavi e approda in semifinale.
Dall'altra parte dell'oceano anche Larry Bird è passato agli onori della cronaca nel 1984, durante Boston-Filadelfia. Il mancino di Boston, mancato il bersaglio, viene a sua volta colpito da Julius Erving con la complicità di Moses Malone. Ancora Celtics protagonisti nello stesso anno, contro i Lakers durante gara 4 delle Finals 1984. Kevin Mackey interrompe un contropiede dei Lakers con un intervento di spropositata vigoria agonistica, mandando per le terre Kurt Rambis, lo fialuto lungo californiano. Inevitabile parafiglia sul parquet, poi quando si torna a giocare, Boston che perdeva di 6, ribalta l'inerzia, pareggia i conti nella serie e prende lo slancio definitivo per la conquista dell'anello.
LeBron James e l'America, è il racconto della vita di LeBron James dalla nascita fino a oggi, con particolare attenzione alla sua dimensione pubblica e politica. LeBron James è senza dubbio il cestista più rilevante degli ultimi 20 anni, il più raccontato, il più amato e allo stesso tempo il più criticato, un grande vincente e allo stesso tempo uno straordinario perdente. LeBron in qualche modo, incarna la sintesi degli opposti, e da questa prospettiva ho cercato di guardarlo e di scriverne.
Come dico nel prologo, è proprio la capacità di abitare un tempo intero e tenere insieme trame e tensioni, anche in apparente contraddizione, a definire compiutamente l'estensione spirituale di LeBron, e a tratteggiarne la rilevanza culturale nella storia recente degli Stati Uniti. Nella sua vita risiedono trionfi leggendari e cadute rovinose, scelte impopolari e occasioni di redenzione, povertà e opulenza, poema epico e diario intimo, business feroce e impegno sociale, potere ed empatia, rabbia e compassione, privato e politico, finzione e realtà, essere cittadino e re, orfano e padre.
Sulle Bron James sono stati scritti tanti, e talvolta ottimi libri, e molti aspetti della sua vita li ha raccontati direttamente lui in modalità differenti nel tempo, la sua famosa volontà di, controllare la narrativa. Quello che ho tentato di fare, è di costruire una storia che in parte si facesse anche metaracconto, cioè che includesse anche la sua versione dei fatti, al fine di abbracciare la complessità dell'uomo nella sua interezza e allo stesso tempo comprendere cosa significhi essere una superstar mondiale al giorno d'oggi, e con cosa ci si trovi a fare i conti.
La descrizione del contesto storico è stata quindi particolarmente importante, anche per rendere giustizia al suo impegno nel voler stare costantemente in mezzo alle cose. Come Colin Kaepernick, come Bill Russell e Karim Abdul-Jabbar, come Tommy Smith e John Carlos, come altri ma in modo particolare come Mohamed Ali, LeBron ha squarciato la membrana che spesso nell'opinione pubblica separa il mondo dello sport dalla realtà, dalla storia delle gesta dalla storia degli uomini. Tutti loro sono diventati popolari attraverso lo sport, ma essere atleti straordinari non li è immunizzati dallo sporco della vita, e hanno scelto di farsene carico, ciascuno a modo suo.
Come suggeriva Borges, sono state le circostanze a definirli, o meglio sono state le circostanze a far capire loro, fino in fondo, chi realmente fossero. Naturalmente non manca il racconto delle sue più grandi imprese sul parquet, in particolare il titolo 2016 con i Cleveland Cavs, a tutt'oggi l'unica occasione in cui una squadra sia riuscita a vincere il rimonta dopo essere stata sotto 1-3. Nella gara 7 di quella serie, LeBron realizza la sua giocata più iconica, ovvero la stoppata su Andriy Guadala, che impedisce agli Warriors di andare avanti nel punteggio, e probabilmente di conquistare l'anello.
È una sorta di apparizione, proprio mentre Guadala lascia andare la palla in appoggio al tavellone, ecco incombere LeBron, maestoso nella sua divisa nera numero 23. Lo sovrasta in salto e inchioda la sua conclusione sul tavellone con una stoppata spaventosa, a tre metri e mezzo di altezza. È istantaneamente, la singola azione più iconica della sua carriera, e passerà ai posteri come, Sebloque. Sono necessari vari replay per comprenderne appieno la complessità. LeBron parte da lontanissimo, raggiunge un picco di velocità di 32 chilometri orari, e prepara lo stacco calcolando i passi come un saltatore in alto, con però l'assurda complicazione di non trovarsi di fronte un'asticella fissata tra due supporti ma un avversario in movimento.
LeBron ha la lucidità di alzare entrambe le braccia durante lo stacco, per coprire i due lati del canestro, perché sa che Guadala potrebbe scegliere di chiudere la penetrazione in reverse. La sua azione è un concentrato di grazia sotto pressione, la virtù capitale che Hemingway attribuiva al guerriero. C'è atletismo, consapevolezza, potenza, intelligenza, tempismo, coraggio. C'è anche, la vendetta personale contro il Most Valued Player delle finali dell'anno precedente, il cui nome era stato indicato proprio per l'abilità dimostrata nel limitare lui.
Ma il senso generale Tebloque è molto di più, è la difesa di qualcosa, per qualcuno. Un atto fondativo, la concrezione esatta di un destino. Dopo 20 anni di NBA, dopo essere stato il più giovane a raggiungere numerosissimi traguardi, e dopo essersi inesorabilmente trasformato nel più vecchio a totalizzare altri incredibili record, facendoci quasi pensare che la variabile del tempo per lui non valga, LeBron è ancora lì, e non sembra affatto stanco della sua storia. Quello che non c'è, che non si è ancora intravisto nelle pieghe della sua esistenza, è un appagamento definitivo, una pace dell'anima che gli suggerisca di fermarsi per poi tornare a valle.
La magia del basket, se è una pena del contrapasso, è fin troppo severa. A cura di Luca Corsolini Intervistato l'anno scorso, alla domanda sulle differenze tra NBA e resto del mondo, Luis Colami aveva detto, fa impressione la lentezza con cui si reagisce, fuori dagli United Stacks, alle novità. Si è sempre fatto così, si dice, e così si perdono delle opportunità. Adesso la sua Varese, un laboratorio per tutti in tante scelte, paga errori gravi di qualche anno fa, mancanze che dovrebbero essere compensate in ben altro modo, e non togliendo punti in classifica a una squadra che se li è guadagnati sul campo.
Prima chiediamo ai club di diventare società, e poi i conti sbagliati e fatti nelle stanze dei bozzoni continuiamo a farli pagare alle squadre. È una di quelle lentezze di cui parla Scola. E a chi si meraviglia, quando lo stesso Scola dice che non sapeva nulla dell'Alvicenda Tepic, qualo sbaglio più grande, e non solo di Varese, continua a essere l'inseguimento di nomadi cessistici, che non vogliono radici, bisognerebbe investire di più sui giocatori, facendogli capire dove arrivano. Chiedo quanto si sono meravigliati a scoprire che, un ragazzo di 21 anni ha condiviso, con la sua crew di videogamer, i segreti di quello che teoricamente è l'esercito più potente del mondo.
Per tornare ad avere fiducia nel basket, due soluzioni. La prima, andare in libreria e comprare il libro di David Hollander, come il basket può salvare il mondo. Invece di verificare solo i conti delle passate stagioni, le commissioni di controllo dovrebbero, ad ogni livello, verificare alla vigilia del prossimo campionato, se i dirigenti hanno letto l'opera, se l'hanno capita. E si intende, lo stesso esame andrebbe fatto a ogni commissione. Hollander rielenca 13 regole e condisce ogni capitolo con quella spezia speciale che è la passione.
13 regole come in I Smith, un cerchio che si chiude, ma anche una dote che continua a essere unica. Il basket ha una sua trascendenza. Ci obbliga a guardare in alto, che è pure un modo di guardare altro, facendo attenzione appunto agli altri, tenendo sempre accesa la curiosità, evitando di essere vanali, seconda soluzione, ancora più radicale. Cominciare a guardare, di più e meglio, il basket femminile. Anche parlando di risultati, perché nel silenzio generale, Steele è arrivata alla final four di gli Euroleague.
Anche parlando di scelte, perché la decisione della Segafredo di non fare pagare nulla, per vedere Zandalassini e compagni è un atto di coraggio, anzi proprio un investimento, ripagato dalla gente che affolla il Paladossa, a sua volta ripagata da come gioca la squadra di Ticchi. Poi, non è solo questione della squadra di Ticchi. Il basket femminile è bello. Poche storie, ha una genuinità che il basket maschile ha perso, si vede un gioco meno fisico, ovviamente, ma non per questo meno bello.
E forse anche per questo non ci sono poi tanti libri dedicati al basket maschile italiano, mentre in questi giorni in libreria c'è l'Area Piccola, il romanzo cestistico di Giorgia Bernardini, una che scrive in modo arrogante ma non banale, mai presuntuosa. Anche Zarina, la sua newsletter, ha quel titolo, come omaggio all'eleganza di Catarina Pollini. Giorgia adesso sta a Berlino, lì a Valerio Agliantipo di Daragusa. Ma anche lei scrive di basket, la trovate in in uvole soprattutto, nello stesso modo in cui Cecilia Zandalassini gioca, con una leggerezza rassicurante, con classe, ecco.
È un piacere consigliarvi Giorgia e Lia, ed è pure un dovere, Hollander lo dice chiaro che una delle ragioni per cui il basket è così in salute è per la rilevanza del settore femminile, con le nazionali bielorusse che diventano testimonial della resistenza nel loro paese, e con il Kaitlin Clarke, nel campionato venisei. L'avete vista? Andatela a cercare su Youtube, se volete vedere qualcosa di magico. E a proposito di lentezza, nessuno, almeno apparentemente, si è mosso alla notizia che la mamma di Kaitlin regale i cannoli alle compagne della figlia per ogni partita, essendo di origini siciliane.
Noi siamo lenti, anche nel capire che il banchero si è preparato tutta la stagione la fuga dall'altare per il matrimonio con la nazionale. E' un'altra storia...