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Te-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e-e Imparare la storia, ha scritto e ribadito Riccardo Bacchelli, vuol dire risorgere dai terreni e dalle acque, dalle pietre costruite e dalle parole legate agli uomini, perché di quello che è veramente storico il popolo osserva una sua memoria. E sono parole dettate dalla meditazione sul Po, sulla sua storia intresa di leggende, a cui confronto il fiume Olona si mette in una posizione di inferiorità, anche se nel suo capriccioso andare attraverso le terre ha raccolto sulle sue sponde i segni di una palpitante realtà, caratterizzando con la sua presenza la vita di borghi e città. Perché l'uomo, anche quando ritiene di aver dominato un corso di acqua, finisce sempre per avvertirne il fascino, fino a piegarsi ai suoi voleri. Perciò, in una zona fortemente industrializzata, quale è quella di Legnano, rilanciare l'attenzione allo snodarsi di un corso d'acqua, fino a dare le file del racconto sul suo lento e rimaccioso scorrere nella pianura, significa quasi reimmergersi come in un grembo materno e risalire le vicende degli uomini legate ai suoi bordi, coi limiti che l'andare a ritroso può creare nel rilanciare ricordi, pescare sapori, interpretare bandi, decifrare memoriali vecchi di secoli, testimoni di diritti conculcati, di norme sopite, ma non distrutte. Vengono in mente certi racconti di chiare avventure del Quirici, autori pronti ad evocare fantasia, sedimentate col trascorrere degli anni, fino a far credere di aver visto o vissuto quello che forse non c'era. La passione di chi è nato e vissuto sulle rive del fiume non riesce a cristallizzare immagini di disastro ecologico e di linquame schiumoso, in cui si mescono residui tossici o inerti, dove confluiscono le più svariate scorie. Meglio pensare agli antichi mulini, di alcuni dei quali esiste solo il ricordo. Porgere l'orecchio ai suoi strani, fluttuanti sinfonie di altri tempi, cui si aggancia la memoria di mole, murazze, rodigini, incastri, spazzere, nervili, ma c'è anche da tenere gli orecchi. Sono parole di altri tempi, sanno di arcano ma anche di buono, evocano immagini e pregne di gnomica sapienza. Sui loro volumi scivola la fantasia a legittimare la permanenza degli scrigni del linguaggio, mentre la vista corre a pareti fuliginose, a ruote arrugginite dal tempo, a pale sbriciolate dall'usura, a travi e pontili corrosi dall'umidità, a ciuffi d'erba dalle forme strane e quasi contorte, a volersi liberare da un antico selvaggio. Chi abbia provato, ancora giovane, a entrare in un vecchio mulino su Lolona, magari per pura curiosità, non può non avere avuto la sensazione di un luogo dove lo sviluppo non seguisse il tempo, ma l'azione si svolgesse al rallentatore. A voler andare alla ricerca di qualche traccia, di tanto girar di ruote, viene incontro una brusca realtà rigata dal fischiare di altre ruote, quasi a profanare il velo ammuffito che avvolgeva nelle sue terre trame vecchi mulini di bacchelliano sapore, ingoiati dalla dimenticanza, come il loro descrittore, dissipati dalla memoria umana e risorgenti in fantasmi dalle nebbie sprigionate dai terreni adacquati. Racchiusa la loro esistenza nel contrastare affettuoso e disperato contro l'invisibilità del tempo, essi si incidono coi contorni risi dell'immaginazione, inclinano la tipologia della cronistoria pedis sequa, vogliono che si riassegnino loro le vite consumate dalla fatica, imprese spezzate dalla sorte, irripetibili contratti, odore di strumenti rogati tra il pulsare del villico, impregnato di fantasia e di curialità di forma notarile, mentre l'acqua del fiume grida al riappropriamento della sua antica identità, a partire dal nome e giù giù fino alle fasi multiformi della sua intensa esistenza. Una delle abitudini più frequenti a cui si sono abbandonati studiosi italiani e stranieri è quella di porle nelle diverse cronache note più o meno lunghe come studio sull'origine dei nomi locali. È successo di frequente che non essendo essi in grado di conoscere il fatto da cui il nome traeva origine e non avendo sotto mano documenti relativi, oppure non avendo ancora la filologia sviluppato criteri ragionati e comparativi, concludessero con ipotesi lontane dal vero. Il richiamo in tal senso è però troppo forte perché egli si possa opporre resistenza. I nomi dei campi, dei monti, delle acque traggono origine, nella maggior parte dei casi, dal genere dei prodotti che essi crescevano, dalla loro configurazione, dalla loro posizione naturale, dal nome del casato e del possessore, da qualche fatto celebre accaduto. Non pare aver senso comparare i nomi dei luoghi estrapolandoli dal loro contesto geografico perché essi legano gli uni agli altri per affinità formali e semantiche. L'etimologia dei luoghi non è sicura se non quando possiede una base solida nell'insieme dei nomi geografici di una determinata regione. Siamo naturalmente nel campo della concettura, concepita come strumento utile per puntellare un racconto in cui la sequenza dei forse sembra probabilmente incerto e non vuole essere una regola assoluta anche se il ricorso ad essi può far ricordare, per analogia, uno scansonato scrittore, Anderson. In essere un scrittore britannico dovendo prendere posizione di fronte agli altri dei sorti sugli itinerari seguiti dall'imperatore Adriano nei suoi viaggi in Grecia e in Asia Minore gli dichiarava di essere costretto a infiorare le sue pagine di tanti, probabilmente quanti erano, i paracarri sulle strade sulle quali l'imperatore romano era passato. Perché nel nostro caso l'etimologia riguarda il fiume Lona forse, non è fuori luogo, azzardarsi a dire che dal greco Oros deriva quel nome che i nostri contadini chiamavano, in dialetto legnanese, Uwona e in quello bustocco Uwona con dilevo completo della I dopo la riduzione della R ha una vibrazione laterale della lingua fino a porsi vicino alla I. Se vogliamo seguire l'Olivieri in un dizionario della toponomastica lombarda possiamo risalire all'Olona all'anonimo Ravennate, il geografo vissuto nella prima metà del secolo VIII mentre il Giulini accenna alla Orona che, formatesi da alcune fonti vicine a Varese, si allunga fino a Milano dove prende il nome di Vepra o Vedra affinché, arrivate in prossimità dalla Basilica di San Lorenzo, ricevute le acque del Nerone e del Seviso, cambia il nome in quello di Vitabile o Vetabile corrotto poi in Vitaglia e Vecchiabbia e tocca a San Siro, detto nei documenti Ad Vepram o Ad Vepriam e piega a sud scorrendo a ovest della città in prossimità della chiesa di San Pietro in sala fino a lambire la cassina di Tavernis e si tratta di notizie, come dichiarò il terzo autore, tratte dal Galvano Fiamma. E giunto a un punto indicato, l'Olona subiva una contraffazione in Oleunda da un mulino che sorgeva sulle sue rive e che finirebbe per distruggere la derivazione dal greco ma l'autore milanese non poteva fare a meno di pensare al monastero di Aurona, evidente contraffazione di Orona e tale monastero era stato fondato verso la metà del secolo VIII da Aurona o Orona, sorella di un vescovo chiamato Teodoro che lì vuole essere sepolto. Del resto un Ollone, comandante di Childeberto, re dei Franchi, è ricordato da Gregorio di Tours che lo fa morire nel rasseggio di Berlizzona nel secolo VI e che è probabilmente lo stesso Ollone, conte di Bouger, di cui si narra nel libro VII. Sebbene il fiume anticamente abbia avuto un percorso più lungo dell'attuale si potrebbe pensare, dati i riferimenti continui ad esso, fatti nella denominazione mediovale, che il nome abbia attinenza con la radice celtica Oll con equivalenza Magnus, Validus, supposta dall'arboire nelle ricerche sui nomi di luogo ricerche sull'origine delle proprietà e frontiere e dei nomi dei posti.