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I and Nadia began spending time together and developed a desire to invite Remo, a person from the institute, to join us. We asked the nuns for permission to take him out for a walk and have ice cream together. Remo's behavior improved after spending time with us, showing he enjoyed being with someone else. We continued this for several Sundays, eventually spending the whole day with him. Remo's face would show sadness when returning to the institute after our outings. We also met a group of families who shared their experiences of hosting or adopting children. Our friendship with them, like our friendship with Remo, provided a sense of acceptance and support. Over the two years, Remo showed unexpected changes, opening up and enjoying the company of our friends. Despite his physical and mental limitations, he desired to be loved and wanted. These experiences taught us the importance of relationships. Remo attended our wedding and celebration with his biological parents. Io e Nadia cominciamo quindi a frequentarci. Lei soggiorna tutta la settimana a rivolta d'Ada e così il mercoledì sera e la domenica le trascorriamo insieme. In particolare la domenica ci capita di parlare di Remo e nasce in noi il desiderio di invitarlo qualche volta con noi. Abbiamo così chiesto alle suore di poterlo portare qualche domenica a pomeriggio per una passeggiata a mangiare un gelato insieme. Stare con noi per qualche ora fuori dall'istituto, mangiare un gelato, uscire dal cancello e ricevere le esclusive attenzioni da parte mia e di Nadia è stata per Remo certamente un'esperienza molto positiva. Lo dimostrava nei giorni seguenti quando vedendoci entrare in reparto, questo soprattutto con Nadia, le andava incontro sorridendo e se Nadia percorreva il reparto lui dietro la seguiva passo passo. Per Remo che normalmente se ne stava da solo in un angolo del salone, pur insieme ad altre trenta persone, quel comportamento era certamente una novità e segno di un suo ritrovato benessere nello stare con un'altra persona. Abbiamo continuato così per diverse domeniche fino a trascorrere l'intera giornata con lui. La domenica mattina andavo a prenderlo, Nadia arrivava con il treno e nel tardo pomeriggio lo riaccompagnavamo in istituto. Noi e Nadia poi terminavamo la giornata mangiando una pizza insieme, dopo di che anche lei rientrava nella sua stanza, stavolta non entrando dal cancello, ma da una porta di servizio nella quale possedeva una chiave. Il rientro in istituto dopo una giornata trascorsa con noi non doveva essere una cosa facile per Remo. Durante il viaggio in macchina il suo volto tradiva un'espressione di tristezza. Nessun pianto, nessuna parola non sapeva parlare, nessun atteggiamento di obiezione, solo quell'espressione triste. In silenzio capiva dal percorso stradale che stava rientrando in istituto. In silenzio si lasciava accompagnare. Lo sguardo tornava ad essere vuoto, disinteressato, spento. Forse non era neanche in grado di pensare ad una possibile forma di protesta. Non ne aveva esperienza alcuna. Si lasciava trasportare da ciò che gli altri pensavano per lui, perché quella è sempre stata la sua condizione. Ma di suo emergeva quell'espressione, che anche solo a ricordarla la trista ancora oggi. Contemporaneamente io e Nadia conosciamo e incontriamo un gruppo di famiglie di Milano che mensilmente si ritrovano per condividere le esperienze di accoglienza vissute. Chi l'affido, chi l'adozione, chi l'ospitalità di parenti di ricoverati in ospedali provenienti da tutta Italia. Noi condividavamo il nostro incontro con Remo. L'amicizia con queste famiglie è stata come l'amicizia tra noi e Remo, un luogo in cui sentirsi accolti e accompagnati. Nei due anni così trascorsi, Remo ha avuto dei cambiamenti inaspettati. Cominciava ad aprirsi, a giocare con le cose, ad essere contento nel vedere i nostri amici. Non si trattava di miglioramenti della sua gravità, nel senso che i limiti presenti, fisici e mentali, quelli erano e tali rimanevano. Era però una persona che cominciava a vivere una nuova esperienza, a vivere dei rapporti per lui importanti. Sorprendavamo, quindi in Remo, ciò che di più intimo ha una persona, un desiderio, il desiderio di essere amato e di essere voluto. Tra l'altro queste sono le parole di un intervento dell'allora Monsignor Angelo Scola ad un convegno, che rimarranno per me dei riferimenti fondamentali nel rapporto con Remo, con mia moglie, con tutti e soprattutto con me stesso. I limiti di Remo, per quanto gravi ed evidenti, e che lo segneranno per tutta la vita, in realtà non sono ciò che gli impediscono di essere felice, di vivere dignitosamente. Ciò che lo definisce, il suo cuore, il suo io più intimo, è il desiderio di un rapporto, nel quale scoprirsi voluto, amato, desiderato. Se si può vivere questo rapporto, la propria situazione fisica, mentale o caratteriale che dir si voglia, non è più un'obiezione alla felicità, ma anzi talvolta, qui azzardo un'idea, può essere un'opportunità. Il cuore e il desiderio di Remo, abbiamo scoperto essere anche il cuore e il desiderio nostro, la cosa più intima che definisce ciascuno di noi, me, essere amato e voluto da un altro. Era l'esperienza stessa del nostro fidanzamento. Il 3 maggio del 1986, alle ore 16, io e Nadia ci sposiamo, nella chiesa all'interno dell'istituto. Remo ha presenziato la cerimonia con un bellissimo papillon rosso, e poi anche alla festa, insieme ai suoi genitori biologici, che abbiamo invitato per l'occasione.